Il Governo Netanyahu
In questo, il Governo di Benjamin Netanyahu, tenuto sotto scacco dalla destra estrema,...
Giuseppe Corazzin, “Bepi” per gli amici, morto cent’anni fa, è stato “l’apostolo dei contadini” della Marca trevigiana. Appena morto, il settimanale diocesano lo definì proprio così: “Un apostolo disinteressato e instancabile dell’idea sociale cristiana”. “Da laico – continuava a scrivere il settimanale nel ’25 – a tale apostolato ha posposto la sua posizione e il suo avvenire”. Fu principalmente sindacalista e organizzatore delle masse lavoratrici del mondo agricolo, che allora assorbiva la professione di oltre il 90% dei veneti; però è stato anche molto di più.
Molteplici attività
È stato, innanzitutto, un credente dinamico e fedele, a cominciare dall’impegno nella parrocchia del suo paese natale di Arcade, come fondatore, allora quindicenne, della locale Gioventù italiana e, poi, rimase sempre inserito nelle vicende diocesane dell’Azione cattolica. Il vescovo Andrea Giacinto Longhin, ora beato, lo appoggiava, lo sosteneva e soprattutto lo difese: quando lo nominò direttore della Vita del popolo, gli regalò un’edizione della Rerum novarum e gli disse: “In una mano il Vangelo, e questa enciclica nell’altra. Avanti sempre, con coraggio: il Vescovo è con voi”.
Corazzin è stato un giornalista, fondatore e direttore di giornali (La Vita del popolo, che diresse negli anni 1914-15; Il Piave, da lui fondato nel 1919; L’Idea, sempre da lui fondata nel 1923).
È stato un pubblico amministratore, come consigliere e presidente del Consiglio dell’Ente Provincia di Treviso, e, poi, anche come amministratore dell’ospedale trevigiano di Santa Maria dei Battuti e come consigliere d’amministrazione della banca pubblica, che allora si chiamava Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana.
Bepi Corazzin è stato, inoltre, un esperto di agricoltura, essendosi diplomato alla prestigiosa Scuola enologica di Conegliano, e avendo diretto per un periodo le Cantine di Cavazzo, nel Modenese; nell’universo contadino, fin dall’anteguerra, egli fu il fondatore delle prime Leghe contadine bianche, aderenti al Sindacato veneto tra i lavoratori della terra, costituito a Cittadella nel 1910; in argomento, non va dimenticato che egli fu l’autore che pubblicava sul settimanale diocesano le Notarelle agricole; dopo il grande conflitto mondiale, fu lui il presidente dell’Unione del lavoro di Treviso, cioè delle Leghe bianche, che sotto il suo impulso raggiunsero le 250 unità, forti di oltre 150.000 aderenti, che egli guidò nel ’21 nella contrastata vicenda del rinnovo dei Patti agrari.
Una dimensione nazionale
Corazzin è stato, indubbiamente, un uomo politico di primo piano, non solo in provincia di Treviso, ma si inserì da protagonista nel livello nazionale, quale partecipe alla fondazione in Roma del Partito popolare italiano, avviato nel 1919 da Luigi Sturzo, il quale lo onorava della sua amicizia e ne aveva la massima stima. Il sacerdote siciliano appena avuta la notizia della morte di Bepi Corazzin, ne ricordò la figura in una lettera recapitata da Parigi al veneziano Celeste Bastianetto, nella quale definì lo scomparso come “un forte lottatore e un attivo organizzatore”.
Bepi Corazzin è stato un italiano vero e completo, avendo adempiuto ai suoi doveri di cittadino, anche partecipando da combattente a due guerre, quella in Libia nel 1912, dove contrasse la malaria, e nella Prima guerra mondiale, in cui rimase gravemente ferito e mutilato, in combattimento, sul monte Sabotino. Per il suo eroismo, dimostrato sin dal 1915 sul monte Piana e poi nuovamente testimoniato nella battaglia del Sabotino, egli fu decorato al valore militare.
Dopo la disfatta di Caporetto, Corazzin ha seguito i profughi veneti nella loro tragica sorte, trasferendosi a Milano, dove, poi, il cardinale Andrea Carlo Ferrari lo volle segretario della Giunta di Azione cattolica della diocesi meneghina. Da lì, con quella nuova esperienza di vita, Corazzin dimostrò la capacità di guardare più lontano, superando le ristrettezze del localismo.
Non appena finita la guerra, Bepi Corazzin è stato un organizzatore impegnato anche nel sostegno degli ex combattenti e delle loro esigenze, nell’Unione reduci di guerra e, soprattutto, si fece portavoce delle richieste pressanti di ricostruzione della Provincia, uscita totalmente distrutta lungo l’asta del fiume Piave. In quell’ambito operativo, partecipò pure alla costituzione della Federazione provinciale piccoli proprietari, a sostegno dell’obbiettivo concreto di trasformare i contadini in piccoli imprenditori autonomi, quale corollario del superamento dell’antico e obsoleto istituto della mezzadria. Contemporaneamente, egli promosse e seguì l’associazionismo dei Comuni popolari, a sostegno delle Amministrazioni bianche, che nel 1920 conquistarono l’80% dei Comuni della Marca trevigiana.
Vittima della violenza fascista
Di Bepi Corazzin non si può ignorare, soprattutto, che è stato un antifascista, un oppositore del “partito del disordine”, allora rappresentato dal Partito nazionale fascista di Benito Mussolini, che si stava imponendo con la violenza e le intimidazioni, non di raro culminate nell’omicidio (esemplari, ma non unici, i delitti che costarono la vita a Matteotti e a don Minzoni). Il 13 e 14 luglio 1921 le squadre fasciste fatte giungere da Ferrara e Rovigo con migliaia di squadristi occuparono con indicibile violenza la città di Treviso e distrussero le sedi dei partiti, devastarono la tipografia dove si stampava il giornale di Corazzin, Il Piave, oltre che la diocesana La Vita del popolo, assaltarono palazzo Filodrammatici, sede delle associazioni cattoliche; il clima d’intimidazione preparò la Marcia su Roma dell’ottobre ’22. Corazzin stesso e la moglie Emilia patirono la tremenda esperienza dell’aggressione dei fascisti, subendo una violenza che procurò la morte della creatura, che la moglie portava in grembo.
Sul suo principale fronte d’impegno, quello sindacale, Corazzin è stato non solo l’ispiratore e il principale motore del movimento sindacale cristiano nell’intera provincia di Treviso e anche oltre, ma ha esteso la sua dedizione all’avvio del movimento sindacale nazionale, come partecipe nel ’18 a Roma, della fondazione della Cil, la Confederazione italiana dei lavoratori, antesignana del sindacato d’ispirazione cristiana e in un certo senso il sindacato-madre dell’attuale Cisl; l’anno dopo, egli sarà a Parigi, per la costituzione, anche, dell’Internazionale sindacale di ispirazione cristiana.
Come non notare che tutto questo Giuseppe Corazzin visse e organizzò in poco tempo, considerato che la sua vita si concluse a soli 35 anni d’età? Egli morì, infatti, di peritonite, a Treviso nel novembre del 1925.
Più volte egli fu commemorato e ricordato, fin dalla sua morte (anche se il regime si attivò attraverso il Ministro degli Interni, Luigi Federzoni affinché venisse accantonata l’iniziativa della diocesi di erigergli un monumento). Ma, dopo la fine del regime fascista, la sua memoria è stata riproposta, con iniziative varie. La sua figura è stata più volte riproposta, con la partecipazione di importanti relatori e uditori.
Vale la pena di citare, per tutte, la commemorazione fatta nel 1982 dal co-fondatore e primo segretario generale della Cisl trevigiana, Domenico Sartor (di quell’intervento emozionante e profondo ci rimane la registrazione): un documento sonoro capace di riproporre efficacemente a tutti, assieme alla voce di quel grande profeta che fu, dalla Resistenza in poi, l’on. Sartor, il ricordo vivo e avvincente di uno dei più grandi e amati trevigiani del ’900 qual è stato Giuseppe Corazzin, giustamente e più volte definito “il più grande sindacalista di Treviso”. La sua tomba, da ora in avanti ad Arcade, rimane una memoria, ma sono la sua vita e il suo pensiero a restare dei punti di riferimento per tutti noi.