Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Editoriale: Il dilagare della guerra e la fragile tregua

Nemmeno l’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, può affermare che l’Iran già disponga di testate nucleari. Di sicuro, e da tempo, è in atto in quel Paese il processo di arricchimento dell’uranio con l’obiettivo, mai dichiarato ma presumibile, di raggiungere quella soglia del 90% che consentirebbe di avere una bomba atomica utilizzabile, evidentemente, per scopi bellici o come deterrente verso i nemici.
Inaffidabilità del regime di Teheran
L’Iran è uno di quegli “Stati canaglia” che l’Occidente ha sempre ritenuto pericoloso e imprevedibile, in quanto non sottostà (come tanti altri) ai principi fondamentali che regolano i rapporti tra gli Stati. Un regime inaffidabile che, fino a oggi, ha sempre sostenuto e contribuito ad armare fazioni e bande antisioniste e antioccidentali, in particolare Hamas a Gaza, gli Houthi nello Yemen e gli Hezbollah in Libano, tutte realtà politiche e militari che rappresentano una minaccia continua all’esistenza dello Stato di Israele. Per questo, oltre che impedire all’Iran di avere la propria bomba atomica, l’obiettivo principale del premier israeliano Benjamin Netanyahu, sostenuto in ciò dalla maggior parte dei Paesi occidentali e orientali, per i quali sta facendo il “lavoro sporco”, sembra essere quello di rovesciare il regime teocratico degli ayatollah.
Tuttavia, destabilizzare anche l’Iran con un intervento militare esterno, potrebbe rivelarsi un’operazione illusoria con possibili conseguenze sulla pace e sui fragili equilibri mondiali. Non possiamo dimenticare che laddove gli Stati Uniti e i loro alleati hanno rovesciato regimi totalitari pericolosi per l’Occidente o collusi con il terrorismo (pensiamo a Iraq, Libia, Libano, Siria, Afghanistan, ecc) non si è riusciti a stabilizzare granché, ma, anzi, tutto è finito in un caos nel quale sguazzano incontrollabili bande rivali foraggiate da Paesi esterni. Lo stesso si può dire per gli interventi destabilizzanti in Africa provocati da Cina e Russia, avvenuti spesso per procura o attraverso debiti finanziari insolubili (Mali, Repubblica Centroafricana, Somalia, Sudan, Somalia, ecc.).
Il problema del nucleare
Secondo il Trattato di non-proliferazione nucleare, approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1968, e ratificato da 188 Stati membri (esclusi Israele, India e Pakistan), nessuno potrebbe dotarsi di testate nucleari. Resta, però, il problema che alcuni Paesi (Usa, Russia, Francia, Regno unito) che già le possedevano prima della firma del Trattato (e gli Usa le avevano pure utilizzate nel 1945 in Giappone), non vi hanno mai rinunciato, ma, anzi, in qualche occasione le stanno esibendo come minaccia, come sta facendo, ad esempio, la Russia nel conflitto ucraino. Nel frattempo, altre potenze emergenti come Cina, Pakistan, India, Corea del Nord e Israele si sono “garantite” la sicurezza, dotandosi di tali ordigni. Si è venuto, così, a creare uno squilibrio o una asimmetria difensiva (ma anche aggressiva) tra pochi Paesi e il resto del mondo, per cui chi dispone delle testate nucleari si sente, comunque, più forte e sicuro verso potenziali avversari e nemici e, inoltre, cerca di fare il possibile per impedire che altri si dotino di tali strumenti di distruzione. In ogni caso, sarà sempre più difficile contenere la corsa al riarmo nucleare perché, ormai, Paesi importanti come Germania, Polonia, Turchia, Arabia Saudita e altri, stanno sempre più premendo alle porte e scalpitando.
Trump e il ruolo degli Usa
Il conflitto con l’Iran - non senza soddisfazione per Netanyahu e Vladimir Putin -, ha distolto l’attenzione pubblica dalla catastrofe umanitaria che si sta consumando a Gaza e dalla guerra di aggressione in Ucraina. Purtroppo, in questi drammatici scenari, nessuno riesce a capire quale politica stia portando avanti il presidente americano Donald Trump, né cosa stia davvero combinando con Putin. Appare verosimile che, di fronte ai due conflitti in corso, entrambi i due capi di Stato si siano reciprocamente girati dall’altra parte.
Ritornato sulla scena mondiale come il grande pacificatore che avrebbe risolto il conflitto russo-ucraino in 48 ore e impedito che scoppiassero nuove guerre, almeno per qualche giorno Trump si è rimangiato tutto e, anzi, si è gettato anche in un nuovo conflitto, poi interrotto, con la tregua annunciata in settimana. Il timore, però, è che gli Stati Uniti non riescano a fare a meno di infilarsi in qualche nuova guerra, nonostante le sconfitte subite a suo tempo in Corea (1950-1953), Vietnam (1975-1995), Afghanistan (2001-2021).
Probabilmente, falliti i “suoi” negoziati su Ucraina, Gaza e Iran, Trump, per non lasciare tutti i meriti a Netanyahu e, forse, per riscattare un po’ il proprio ego ferito, ha deciso di bombardare i siti nucleari iraniani.
Il rischio concreto era quello di non aver chiare le conseguenze e il come eventualmente gestirle, o prevedere le possibili reazioni militari o terroristiche dell’avversario. Suscitando in più, come era prevedibile, la dura reazione della Cina, grande alleato dell’Iran, che ha avuto buon gioco nell’accusare Trump di colpire il fondamento dell’ordine di sicurezza internazionale, creando così un pericoloso precedente. Di fronte a tutto questo, l’opportuna marcia indietro e la tregua.