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Editoriale: Un’informazione libera

Vogliamo essere, come giornalisti, strumenti di pace e non di ulteriori divisioni o provocare discordie. Al tempo stesso sentiamo, però, il dovere di sensibilizzare l’opinione pubblica tenendo viva l’attenzione su ciò che accade a Gaza
09/10/2025

Sentiamo anche il dovere di segnalare la difficile e a volte critica situazione in cui versa oggi nel mondo la libera informazione (giornali e media in genere), soprattutto nei Paesi segnati da guerre e violenze di ogni tipo (nel mondo sono attualmente in corso quasi 100 conflitti, tanto che papa Francesco parlava di una “terza guerra mondiale a pezzi”).

Giornalisti di frontiera

Ho sempre provato ammirazione per due categorie di giornalisti: quelli cosiddetti “di inchiesta”, che a volte, grazie alle loro indagini, arrivano a portare alla luce certi fatti di cronaca prima ancora di altri (gli “scoop”) e che per questo, a volte, vengono intimoriti con aggressioni verbali ed esposti alla magistratura, con querele temerarie e richieste di risarcimenti esorbitanti. E poi, soprattutto, di quelli, che a prezzo della loro vita e della libertà, operano nei teatri di guerra (reporter e fotoreporter) o in Paesi retti da regimi totalitari o sostanzialmente autocratici, che spesso sono allergici e repressivi verso una informazione libera e non asservita al potere.

È noto che il conflitto a Gaza è per gli operatori dell’informazione particolarmente oneroso e drammatico in termini di vite umane. L’Onu indica che dall’ottobre del 2023, mese in cui è avvenuto l’attacco terroristico da Hamas su inermi cittadini israeliani ed è subito iniziata la violenta e sproporzionata reazione del governo di Benjamin Netanyahu, ben 247 tra giornalisti e fotoreporter sono morti sotto le bombe o scientemente uccisi dal tiro dei cecchini o da qualche drone. Oggettivamente, un numero spropositato di vittime, più di quanto è avvenuto nelle due guerre mondiali. A sua volta, in Ucraina dall’inizio dell’aggressione russa nel 2022, sono stati uccisi oltre 100 giornalisti e fotoreporter, ultimo, la settimana scorsa, un fotografo francese colpito da un drone nel Donbass.

Giornalisti a “modo mio”

Quella dei giornalisti è, dunque, una professione difficile e spesso rischiosa. Qualunque Governo, di destra o di sinistra che sia, li guarda con diffidenza e cerca con intimidazioni di condizionare il loro libero esercizio di informare la gente. A volte, persino con soprusi e ritorsioni sugli editori e i direttori delle testate giornalistiche. Questo accade non solo sotto i regimi totalitari, ma, purtroppo e sempre più spesso, anche nei Paesi retti dalle “democrazie liberali”, nelle quali la libertà di informazione e di espressione sono garantite dalle rispettive Costituzioni. Ad esempio, è noto a tutti il frequente “conflitto” ingaggiato dal presidente Usa, Donald Trump, verso ogni forma di informazione che critichi il suo operato o non sostenga adeguatamente le sue scelte e visioni politiche.

Spesso, si vorrebbe che i giornalisti fossero dalla parte di chi, al momento, detiene il potere o ritiene di avere ragione. Più ancora che siano asserviti alla propria “causa”, mossi, più che dallo spirito di verità, da piaggeria e cortigianeria, pronti a tacere alcune notizie e a evidenziarne altre. Per questo loro servizio, a volte, vengono “ricompensati” con favori e promozioni, il tutto al di fuori di ogni regola deontologica.

Il problema, però, riguarda anche noi comuni mortali. Infatti, spesso, vorremmo che le nostre iniziative avessero spazio nei media “subito” e “a modo nostro”, ossia che venisse riportato quello che più ci aggrada e non si avanzino critiche. Diversamente, arrivano le proteste e, spesso, lettere al direttore della testata o all’editore. Va sempre ricordato che quella del giornalista è una professione che, secondo la deontologia propria, può esprimersi solo nella libertà, nell’onestà e nella ricerca della verità e mai sotto dettatura o condizionamenti di sorta.

Il conflitto delle interpretazioni

È inevitabile che tutti accostiamo i problemi con una nostra precomprensione, ossia con quella particolare sensibilità, visione del mondo e inclinazione ideologica, etica e religiosa, che ci porta a vedere e interpretare ogni evento, compresa una guerra, in un modo piuttosto che in un altro. Non esiste una comunicazione asettica o puramente “oggettiva”, nemmeno quando si parla di una disgrazia o di un evento culturale e, tanto meno, di una protesta, uno sciopero o un conflitto. Per questo si parla anche di “linea editoriale” di un giornale.

È, perciò, necessario, non solo per i giornalisti, maturare quella “onestà intellettuale” che ci consenta di esprimerci liberamente senza, però, assolutizzare i messaggi e le parole, né usare la menzogna o nascondere certe informazioni. Di operare, per quanto possibile, una “purificazione” del pensiero e delle intenzioni da inevitabili incrostazioni ideologiche e politiche, in modo da offrire ai lettori e agli interlocutori una lettura seria dei fatti, lasciando a loro la possibilità di una altrettanto libera e personale interpretazione.

Purtroppo oggi, a causa di un diffuso relativismo e soggettivismo e per una certa radicalizzazione delle visioni politiche, ogni evento si carica sempre più emotivamente e ideologicamente, al punto che, al posto di un serio confronto e dibattito si fa spesso largo un inconciliabile “conflitto delle interpretazioni”. Ecco perché una stampa libera e indipendente, preparata e pronta a rispondere del proprio operato ai cittadini – lettori è un patrimonio che dovremmo custodire e far crescere, anche presso le nuove generazioni.

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