Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
La guerra in Ucraina vista dalla Russia
Le decine di migliaia di profughi giunte anche a Rostov e nelle altre città vicine al confine ucraino. La propaganda di regime. Il consenso verso Putin ancora solido. Queste le informazioni che giungono dal Paese alla trevigiana Mirella Zanon, dell’associazione Papa Giovanni XXIII, che ha vissuto fino al 2019 ad Astrakhan, sul mar Caspio

La guerra vista dalla Russia. Sappiamo che, con l’inizio dell’invasione, Vladimir Putin ha fatto calare una cappa di censura, impedendo di parlare di guerra, invasione e approvando una legge bavaglio anche per i giornalisti stranieri. La stampa indipendente è quasi scomparsa e chi manifesta viene arrestato. Sappiamo anche che gran parte della popolazione è all’oscuro di quanto stia avvenendo realmente in Ucraina, al di là di una fantomatica “operazione militare speciale”.
Ma dopo oltre un mese, non far trapelare nulla diventa sempre più difficile, anche perché sarebbe stato ingenuo pensare che dopo 20 giorni e con almeno 150 mila uomini al fronte, nessuno si sarebbe accorto di nulla. I soldati hanno parenti e genitori, coi quali cercano di entrare in contatto. I familiari sono preoccupati per loro. Addirittura, molti tornano dal fronte solo per la sepoltura.
Abbiamo già assistito all’esodo di oltre tre milioni e mezzo di profughi dall’Ucraina verso i Paesi vicini. Una parte considerevole di questi, anche se ne sappiamo poco, è costretta ad andare verso la regione russa di Rostov che è la più vicina sia per chi scappa dalle regioni del Donbass e di Lugansk, che dalle città costiere sotto assedio.
Per capire meglio quello che sta accadendo sul fronte orientale meno battuto dalle agenzie di stampa, abbiamo chiesto un parere alla trevigiana Mirella Zanon, dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fino al 2019 responsabile della casa famiglia “S. Giovanni Battista”, una struttura di accoglienza e condivisione ad Astrakhan, in Russia, su mar Caspio.
Qual è la situazione dei rifugiati ucraini oggi nelle regioni meridionali della Russia?
Nelle prime tre settimane di guerra, circa 50 mila persone hanno varcato il confine entrando nella Federazione Russa via terra e si sono rifugiate nelle città di Rostov, Taganrog, Saratov e Volgograd, per citarne solo alcune. I profughi sono provvisoriamente sistemati in alberghi, in attesa di ottenere i documenti di soggiorno con procedura semplificata e accelerata rispetto alle tempistiche previste per i cittadini stranieri, e dell’assegnazione di un alloggio statale a canone agevolato, dove potersi trasferire più stabilmente. A ciascun rifugiato lo Stato fornisce un’indennità giornaliera, ma la risposta abitativa alle necessità delle fasce sociali più povere, già precaria prima dell’emergenza, è ora aggravata dalla richiesta urgente di far fronte ai nuovi numeri in ingresso.
Per oltre 10 anni ha vissuto in Russia. Come viene percepita dai suoi contatti in loco l’invasione dell’Ucraina?
La maggioranza della popolazione locale concorda con la linea governativa, che definisce gli eventi in corso come “operazione militare speciale” di difesa e non di aggressione. L’adesione a questa visione dei fatti è trasversale alla classe sociale con cui ci si confronta: dai più poveri ai più ricchi, l’idea è sempre quella di sostenere e incoraggiare l’esercito russo che difende “il proprio popolo” dalle minacce occidentali di espansione, identificate principalmente nella politica estera dell’Unione europea, degli Stati Uniti d’America e più in generale nelle mosse strategiche dell’Alleanza Atlantica. La propaganda governativa, in atto da quasi due decenni, ha cristallizzato l’idea della perenne lotta contro un nemico, che ossessiona la mentalità russa fin dai tempi della Cortina di ferro, con la quale i russi si confrontano fin dalla tenera età: c’è sempre la necessità di difendere la propria identità popolare da minacce di contaminazioni culturali, influenze economiche e politiche provenienti dall’esterno. Purtroppo, anche la censura che impedisce la libera circolazione delle informazioni nei mezzi di comunicazione ha creato un’immagine incompleta e distorta degli eventi: alla popolazione russa mancano, così, le informazioni essenziali che consentirebbero di osservare con spirito critico ciò che accade nel resto del mondo e nello specifico in Ucraina.
Gli effetti delle sanzioni annunciate dall’Occidente si fanno sentire nella vita delle persone?
Già in queste prime settimane di attuazione delle sanzioni economiche nei confronti della Russia si notano gli effetti nel Paese: il rublo si avvia verso un inesorabile crollo nei confronti di euro e dollaro, che si traduce molto concretamente in una veloce inflazione, nella perdita di potere d’acquisto da parte della popolazione e in un impoverimento generalizzato. Le aziende estere stanno chiudendo i battenti, mancano le forniture di servizi bancari e finanziari, l’approvvigionamento di beni tecnologici, prodotti alimentari e di tutto ciò che proveniva dall’estero ora non è più possibile. I prezzi dei beni di prima necessità sono lievitati e la gente teme un collasso economico simile a quello del 1998, con ripercussioni che di certo non intaccheranno la fetta di popolazione più ricca, ma graveranno sulle fasce sociali più fragili. Questa situazione di ristrettezza economica acuisce la percezione di isolamento dei russi nei confronti del resto del mondo e probabilmente favorirà una reazione orgogliosa di sopportazione, invece di sortire l’effetto di una sollevazione popolare: la posta in gioco è la conservazione di un forte senso di coesione nazionale, e non di ribellione nei confronti di chi detiene il potere.
Come valuta la posizione che hanno assunto le Chiese ortodosse rispetto a quanto sta accadendo?
Come spesso è successo in passato, anche in questo frangente la Chiesa ortodossa russa si schiera a totale sostegno delle scelte politiche governative, utilizzando giustificazioni molto discutibili, a supporto di teorie di presunta supremazia culturale, civile e religiosa verso il mondo occidentale. Suppongo che questa scelta abbia l’obiettivo di mantenere vigoroso il morale dei combattenti e della popolazione locale, e anche quello di schierarsi poco velatamente in opposizione alle dichiarazioni di papa Francesco, che invoca il dialogo tra le parti in conflitto e un immediato cessate il fuoco, al di sopra di qualsiasi contenzioso ideologico. La Chiesa ortodossa ucraina, che si discosta da quella russa, condanna l’invasione russa e si appella alla sensibilità della popolazione per cercare di sostenere gli animi in un momento in cui il desiderio di difendere il proprio Paese può facilmente lasciare spazio allo sconforto derivante dal numero crescente delle vittime e dalla distruzione delle città.
E’ pensabile che la Chiesa cattolica possa far da mediatrice nella risoluzione del conflitto?
I cattolici in Russia costituiscono una minoranza cristiana che difficilmente può aver un impatto rilevante sulla società e sulle scelte dei governanti. L’impatto mediatore può scaturire, a mio avviso, da un intervento super partes dal Vaticano, che come Stato può acquisire un ruolo diplomatico importante nelle trattative di risoluzione del conflitto, anche nella persona stessa di papa Francesco. I suoi accorati appelli per la pace sono sempre più frequenti e il Pontefice gode di un’autorità e di un carisma incontestabili, ben note ai numerosi Capi di stato che lo hanno già incontrato personalmente.