venerdì, 09 maggio 2025
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Tra crisi e diritti calpestati in Tunisia

Peggiorano le condizioni di vita e per molti l'unica via d'uscita è imbarcarsi verso l'Europa. Nel primo trimestre del 2023, 15.537 migranti sono sbarcati sulle coste siciliane

Forte tensione in Tunisia negli ultimi dieci giorni dopo la notizia della morte del calciatore Nizar Aissaoui, deceduto nella notte di giovedì 13 aprile, dopo essersi dato fuoco tre giorni prima nella piccola città di Haffouz vicino a Kairouan, nella Tunisia centrale, per protesta contro il rincaro dei prezzi e la corruzione della giustizia.

Un episodio che ricorda il gesto del fruttivendolo ambulante, Mohamed Bouazizi, che si era immolato il 17 dicembre 2010, dando inizio alla Primavera araba (cioè il ciclo di “rivoluzioni” che coinvolse quasi tutto il Nordafrica) e alla cacciata del despota Zine El-Abidine Ben Ali.
Da allora sono passati 12 anni, trascorsi in un faticoso processo di transizione democratica che, al netto della scoperta della libertà di espressione nel Paese, non ha portato a un miglioramento delle condizioni economiche e sociali della popolazione, anzi.

Una vicenda emblematica
Una storia, quella del trentacinquenne calciatore tunisino, che riassume tutto ciò che non va nel Paese. Prima di prendere la drastica decisione, Aissaoui si era recato in un negozio di frutta e verdure per acquistare un chilo di banane. Il proprietario gli aveva fatto un prezzo fuori dalle logiche di mercato, dieci dinari (ndr, poco più di tre euro). Da lì è nata una discussione che ha portato il calciatore a recarsi al posto di polizia di Haffouz per denunciare quanto avvenuto. Tuttavia, invece di ascoltare l’intera vicenda, le autorità locali hanno notificato ad Aissaoui l’apertura di un fascicolo contro di lui per procurato allarme e terrorismo. Uscito dalla caserma, si è dato fuoco in diretta social per protesta contro le condizioni economiche e sociali nel suo Paese.

Morire per un chilo di banane
Ennesimo caso, quindi, di tensione sociale innescata dall’impennata dei prezzi e dalla deriva autoritaria del presidente Kais Saied, che ha spinto nei giorni in piazza anche i giornalisti, per il bavaglio imposto alla libertà di espressione.
Saied che, nonostante la grave crisi economica, non intende accettare le condizioni del Fondo monetario internazionale per un prestito pari a 1,9 miliardi di dollari, dopo aver sciolto un anno fa il Parlamento ha assunto ampi poteri personali. Le richieste di aiuto all’Unione europea non hanno avuto nuovi riscontri, al punto che il Governo tunisino si avvia ad aprire un canale di negoziato con i cosiddetti Paesi Brics, le potenze industriali emergenti.
Immolarsi per protesta un gesto estremo che conta numerosi precedenti in questo Paese. Tre solo negli ultimi due mesi, non tutti innescano la protesta di piazza. Ma sono il segnale di un malcontento che il Governo non può più trascurare.

Imbarcarsi, l’unica via d’uscita?
Considerato il restringimento delle condizioni di vita in Tunisia per chi ha attraversato il deserto e non può tornare indietro, in assenza di soluzioni alternative non resta che imbarcarsi per l’approdo europeo più vicino.
Gli ultimi dati sugli arrivi in Italia dalla Tunisia indicano che, nel primo trimestre del 2023, 15.537 migranti sono sbarcati sulle coste siciliane, principalmente a Lampedusa. Numeri che già oggi rappresentano la metà dell’intero 2022, senza contare i circa 15 mila intercettati e fermati dalla guardia costiera tunisina.
A marzo, gli arrivi dalla Tunisia hanno superato quelli dalla Libia. A ciò si aggiunga che in Tunisia, l’inizio del 2023 è stato scandito dall’aumento degli arresti di oppositori politici, attivisti, giornalisti e sindacalisti, oltre che da quelli dei migranti di origine subsahariana, spingendo così in molti a imbarcarsi, come unica via d’uscita.

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