In particolare, di fronte alle autorità belghe, il Pontefice, oltre a ritornare sullo scandalo degli...
Macron "anatra zoppa". E Putin sorride...
Il risultato delle elezioni legislative in Francia, conclusesi con il secondo turno, spalanca interrogativi profondi sulla vita politica d’Oltralpe, con riverberi su quella europea e internazionale. Inoltre, l’esito del voto popolare sembrerebbe confermare alcune tendenze di fondo che si stanno ripresentando un po’ in tutta Europa.
Il risultato delle elezioni legislative in Francia, conclusesi con il secondo turno, spalanca interrogativi profondi sulla vita politica d’Oltralpe, con riverberi su quella europea e internazionale. Inoltre, l’esito del voto popolare sembrerebbe confermare alcune tendenze di fondo che si stanno ripresentando un po’ in tutta Europa.
Le prime osservazioni possibili riguardano la mancata maggioranza assoluta in parlamento per i seguaci del Presidente Emmanuel Macron, che ora dovrà cercare una sponda – probabilmente nella destra gollista – per poter governare e realizzare le riforme annunciate, a partire da quella previdenziale (innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni). Al momento i Républicains annunciano di voler restare all’opposizione, ma il senso istituzionale e la calamita del potere potrebbe indurli a sostenere, magari con appoggio “esterno”, il governo centrista che fa capo a Macron. Il quale, avendo ottenuto con la coalizione Ensemble! 245 seggi (su 577), ben lontani dalla maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, può appunto sperare solo nell’appoggio dei 64 gollisti (repubblicani + Udi). Altrimenti si profilerebbe un nuovo ricorso alle urne, considerando che restano fuori dai giochi i 48 deputati di altri partiti minori.
Chi può affermare, senza ombra di smentita, di uscire a testa alta da queste elezioni (giunte a poche settimane dalla rielezione del Presidente della Repubblica) sono il leader della sinistra unitaria Jean-Luc Mélenchon e quella della destra sovranista, l’inossidabile Marine Le Pen. Il primo, alla guida di Nupes (Nouvelle union populaire écologique et sociale), s’era detto pronto a fare il premier, ma deve ridimensionare le sue aspirazioni, nonostante i 131 deputati che fanno ingresso in parlamento, dove peraltro Mélenchon non siederà perché non vi si era candidato. Per Le Pen si tratta di un successo persino insperato: 89 deputati per il Rassemblément National. La destra francese sarà presente nell’assemblea parigina con una forza d’urto mai registrata, anche perché il sistema elettorale ha sempre punito la destra estrema.
Fin qui i numeri e i seggi. Eppure questi da soli non bastano a valutare la situazione politica in Francia. Anzitutto occorre sottolineare che più della metà degli elettori ha disertato le urne, in linea con una tendenza consolidata in Europa: distacco dalla politica, scarsa fiducia nei leader e nei partiti, crollo del senso di cittadinanza che si esprime a partire – benché non esclusivamente – nell’espletare il diritto di voto? Si può anche rilevare come il voto dei cittadini sia sempre più disinvolto e che le appartenenze di partito o di schieramento valgono per una minoranza degli elettori, rendendo più difficile la vita dei leader e delle formazioni in campo.
I giornali francesi all’indomani del voto hanno peraltro posto l’accento sull’avanzata delle due estreme, sinistra e destra. Le quali dovrebbero ora domandarsi come portare il loro specifico contribuito alla politica e dunque al futuro del Paese. Dando per scontato che Mélenchon e Le Pen resteranno all’opposizione (annunciata come “costruttiva”), Nupes e Rassemblément National sono distanti anni luce l’uno dall’altro, dunque inconciliabili. A rischio di risultare, in fin dei conti, ininfluenti, almeno per quanto attiene le grandi scelte che attendono Parigi, sia sul versante interno sia in politica estera (guerra in Ucraina, crisi umanitaria e alimentare, problema energetico, difesa e sicurezza, recessione economica alle porte, riforma Ue dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa – tutti temi questi all’ordine del giorno del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno a Bruxelles).
Torna, poi, una serie di quesiti sul senso/valore della democrazia, con interrogativi che riguardano in generale i sistemi politici che definiremmo “occidentali”. Perché i cittadini appaiono sempre più distanti dalla politica e dalle istituzioni (l’astensionismo ne è una prova provata)? La volubilità elettorale ha ragioni politiche oppure, e più ampiamente, culturali e sociali? Nel caso di questo voto francese, prevalgono errori tattici di Macron o meriti comunicativi dei suoi avversari, oppure si conferma la tendenza a punire nelle urne chi governa, chiunque sia e di qualunque colore sia, con un atteggiamento che si può considerare “populista”? Il risultato delle legislative francesi, con un Presidente che rischia di essere un’“anatra zoppa”, avrà ripercussioni sulle difficili scelte che attendono l’Unione europea?
I prossimi giorni – tra Parigi e Bruxelles – potranno fornire alcune chiavi di lettura. Pur sapendo, sin d’ora, che l’indebolimento di Macron e, più in generale, della democrazia “liberale”, regalano il sorriso allo zar che siede al Cremlino.