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Giornata della memoria a San Martino: intensa testimonianza del maestro Angelo Gatto

La scuola secondaria ha potuto commemorare quest’anno la Giornata con un duplice appuntamento.

03/02/2014

La scuola secondaria di San Martino di Lupari ha potuto commemorare quest’anno la “Giornata della memoria” con un duplice appuntamento. Sabato 25 gennaio, infatti, il Gruppo Alpini luparense ha realizzato per le classi terze un intervento mirato a far conoscere le vicende belliche del secondo conflitto mondiale. Lunedì 27 un ospite d’eccezione: il maestro Angelo Gatto, artista di fama internazionale, autore degli splendidi affreschi del duomo luparense ma anche testimone degli orrori della seconda guerra mondiale.
Agli alunni di terza ha raccontato, con partecipazione e precisione, la sua esperienza di deportato, facendo vivere in prima persona l’atrocità del conflitto. “E’ importante sottolineare quanto la storia ci ha  consegnato” ha evidenziato la dott. Santa Aiello, dirigente scolastico “per ricordare e condannare affinché tali atrocità non si ripetano più”. Anche il sindaco, Gerry Boratto, ha messo in evidenza che “senza memoria non si sa dove andare”. L’importanza del ricordare è stata evidenziata anche dal parroco, don Livio Buso: “Far memoria non vuol dire solo ricordare dal passato, ma per il presente e il futuro, per vivere in modo diverso e da cristiani quanto il Signore ci domanda”.
Una storia, quella di Angelo Gatto, che inizia il 21 luglio 1943, con il corso a Padova per soldati dell’aviazione. Poi l’8 settembre: con l’armistizio tutto cambia da un giorno all’altro e per lui e i suoi compagni questo segna l’avvio  della prigionia. Il racconto conduce gli ascoltatori in un mondo in cui la vita umana ha perso ogni valore ed ogni dignità: i deportati viaggiano in un carro per il bestiame, non hanno cibo né acqua e vedono la gente morire. Angelo vive l’esperienza dei bombardamenti ad Hannover, durante i quali vede ancora la morte molto da vicino. Poi il corso per infermieri ma anche l’internamento nel campo di sterminio di Bergen-Belsen: “Ricordo che quando arrivai all’entrata, accanto alle fantomatiche stupide frasi dei tedeschi quali “il lavoro nobilita l’uomo”, sulla destra vidi penzolanti cinque impiccati”. E l’orrore continua ogni giorno: “Arrivavano quasi quotidianamente le tradotte cariche di ebrei: bambini ed anziani venivano mandati subito nelle camere a gas, per chi rimaneva il lavoro era faticosissimo. Al mattino il campo era pieno di morti”.
Ma non manca l’impegno a difesa dell’uomo: “Ricordo che ogni giorno nella mia baracca morivano almeno una decina di internati italiani. Questi cadaveri venivano scaricati e sepolti in fosse comuni che contenevano  duecentocinquanta persone. Non riuscivo a darmi pace che anche i nostri italiani perdessero oltre alla dignità anche la loro identità”. Insiste perché gli italiani possano avere il loro cimitero e lo ottiene, ma non è ancora sufficiente: “Prima di sotterrare un cadavere, attaccavo al collo del morto una bottiglia sigillata con la cera, con all’interno il nome, il cognome e il numero di matricola del deceduto. “Molti anni dopo, grazie anche ai disegni del cimitero realizzati dal maestro Gatto, i parenti riescono a recuperare con certezza i corpi dei loro cari. “Gli scheletri che venivano dissotterrati avevano appeso al collo ancora la bottiglietta con all’interno i dati anagrafici. Non nascondo, anche con un po’ di orgoglio, che di questa impresa vado fiero”. Tutti i presenti hanno seguito la narrazione “con il fiato sospeso”, come ha commentato la dirigente. Un’occasione importante, unica, per “sentire” la storia non dai libri ma da chi l’ha vissuta sulla propria pelle, realizzata anche grazie all’organizzazione della prof. Scopel.

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