Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Centro rimpatrio in Albania: “Una costosa presa in giro”
Giovedì 14 novembre, nella sede provinciale del Partito democratico, la deputata trevigiana Rachele Scarpa ha raccontato ai presenti l’esperienza maturata nei due viaggi personalmente effettuati nel Centro per il rimpatrio in Albania, realizzato sulla base di un protocollo tra il Governo italiano e quello albanese, che si fonda su una procedura accelerata di frontiera.
La struttura potrà ospitare oltre mille persone, ma al momento è pronta ad accoglierne meno di 400 e attualmente è vuota. I costi, poi, sono un vero e proprio rebus (sul quale indagherà la Corte dei Conti, per eventuale danno alle casse erariali), che oscilla tra i 62 milioni e il miliardo di euro.
Il centro
La struttura, secondo il racconto di Scarpa, presente con una piccola delegazione parlamentare, si divide, di fatto, in due parti: il porto di Shëngjin, piccola cittadina a circa 60 chilometri a nord di Tirana, in cui si trova un primo hotspot, dove i migranti vengono fatti sbarcare dalla nave Libra della Marina militare italiana, e dove avvengono le procedure di identificazione e screening medico.
In seguito, le persone vengono portate nel vero e proprio centro, Gjadër, su una collina brulla a circa 20 minuti dal porto, e che esternamente mantiene ancora in toto l’aspetto di base militare che era stata al tempo, con altissime grate tutto attorno. La struttura si divide in tre livelli: il livello di trattenimento dei richiedenti asilo, dove appunto sono processate (in tempi particolarmente rapidi) le richieste di asilo; il Cpr vero e proprio, ovvero il luogo dove fino a un anno e mezzo le persone senza diritto d’asilo attendono per il rimpatrio; infine, la struttura penitenziaria. Il primo livello si presenta con casette-container ordinate su un pavimento resinato verde brillante, che forse dovrebbe ricordare un prato o dare un po’ di allegria; il secondo vede pochi gruppi di casette container (ma con sbarre alle finestre) all’interno di aree recintate, disposte in modo da avere una piccola corte interna, e quindi una sorta di “gabbia nella gabbia”; il terzo livello è sempre recintato, ma ha quasi un aspetto meno minaccioso del secondo.
Le due “spedizioni” e i due rientri
La nave Libra, come è noto, a oggi ha portato al porto di Shëngjin ventiquattro persone, in due momenti. A metà ottobre sono state raccolte in mare in acque internazionali centinaia di persone, di cui sedici sono state ritenute idonee per il trasferimento a Gjadër; una decisione evidentemente precipitosa, visto che all’accoglienza a Shëngjin quattro sono state rimandate subito indietro, perché minori e vulnerabili (per malattie o ferite).
Due giorni dopo, però, anche le altre dodici (alle quali sono state negate le richieste d’asilo e quindi sarebbero dovute essere rimpatriate) hanno fatto ritorno in Italia, su decisione del Tribunale di Roma, Sezione per i diritti della persona e immigrazione, “che ha fatto ciò che si richiede a un Tribunale, ovvero applicare la legge, che in questo caso significava applicare la sentenza del 4 ottobre 2024 della Corte di Giustizia europea, la quale dice che un Paese è sicuro solo se lo è interamente. Le dodici persone provenivano da Bangladesh ed Egitto, due Paesi ritenuti non sicuri, quindi non potevano essere rimpatriate”, sintetizza Scarpa.
A inizio novembre, la nave Libra ha fatto sbarcare a Shëngjin altre otto persone, di cui una subito rimandata in Italia perché presentava gravi problemi di salute; alle altre sette sono state negate le richieste d’asilo e sarebbero dovute rimanere nel secondo livello di Gjadër, ma, di fatto, dopo pochi giorni sono state riportate in Italia, anche loro al centro di accoglienza di Bari. I giudici non hanno convalidato il trattenimento, chiedendo l’intervento sul caso della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il costo e il commento
I costi, dicevamo, sono un vero e proprio rebus, ma la deputata Scarpa non esita a definire l’intera operazione “lo spreco più cinico che il Governo ha inventato finora”.
Al di là dei costi dell’intera operazione (manutenzione, assunzioni, assicurazioni, trasferte del personale ecc), a saltare agli occhi basterebbero solo quelli del trasferimento delle persone dal luogo di soccorrimento a Gjadër: 20 mila euro a persona, secondo il racconto di Scarpa. “Ventimila euro per ventiquattro persone, che non sono neanche più lì in Albania: fate voi il conto” commenta. Ma non è solo una questione di soldi, per la deputata: “L’immigrazione gestita così è una presa in giro” e sulla decisione del Tribunale “è gravissimo che si faccia passare l’idea che i giudici agiscano contro l’Italia e per motivazioni personali, mentre semplicemente fanno il loro lavoro, cioè applicare le leggi”.
Non da ultimo, il lato umano: “Ci siamo seduti a parlare con queste persone, che ci hanno raccontato di dure detenzioni in Libia”, persone che in estrema sintesi sono state sballottate su e giù per il Mediterraneo, sostanzialmente senza ascolto.