La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
III Domenica di Avvento: Chi o che cosa attendiamo davvero?
In questo tempo di Avvento il Vangelo ci provoca sull’identità del Messia che deve venire. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Si possono ancora immaginare le voci che si levavano all’epoca di Gesù: dicevano che il Messia promesso sarebbe stato il “principe della pace” e avrebbe stabilito la giustizia. Anche noi, oggi, possiamo avere lo stesso dubbio dei contemporanei di Gesù, dato che non vediamo pace e giustizia nel mondo. La loro domanda può essere anche la nostra: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Il dubbio. Forse non tanto il dubbio, quanto piuttosto un’immensa e difficile attesa. Giovanni Battista è in prigione, morirà presto, eppure è ancora capace di attendere la salvezza per il mondo. Fino alla fine rimane appassionato del Messia che deve venire, in cui spera ardentemente. Ma, quando si tratta di riconoscere Gesù, Giovanni è sconcertato, perché Gesù non assomiglia affatto al Messia che immaginava. Per lui, il Messia sarebbe venuto a ristabilire l’ordine e la giustizia. Ma non succede nulla. Lui stesso è in prigione, Erode e i suoi continuano a imperversare. Comprendiamo lo sconcerto di Giovanni, e questo ci tocca da vicino. Perché anche noi potremmo dire: “Allora, è tutto qui? Che cosa cambia con la venuta di Cristo? Venti secoli di cristianesimo e un mondo ancora in preda alla violenza?”.
La risposta. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. La risposta è inequivocabile: andate a dire a Giovanni ciò che vedete e sentite. E Gesù cita il profeta Isaia: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono”. È ciò che succede ancora adesso, quando ascoltiamo l’appello dei poveri e decidiamo di rispondere concretamente; quando troviamo la forza di rialzarci dopo una caduta nel peccato; quando accettiamo di camminare con il Signore accogliendo le nostre fragilità, con la certezza che lui ci sostiene.
Rimane la moltitudine di coloro che, perdendo la pazienza, vanno a cercare altrove altre forme di salvezza. E di tutti coloro che, lasciando cadere le braccia, non si aspettano più niente se non le gioie di questo mondo. Allora bisogna chiarire un malinteso. Cosa ci attendiamo davvero: la pace completa, la chiarezza immediata per tutti, per coloro che sono ciechi e per chi ha l’intelligenza offuscata? È davvero questo che immaginiamo: che tutti coloro la cui vita è zoppicante trovino, senza dover aspettare, il loro equilibrio, e coloro che non capiscono nulla della vita comprendano il senso delle cose? Tutto e subito, come se la storia fosse finita. Ascoltiamo piuttosto la seconda lettura, tratta dalla Lettera di san Giacomo: “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra...”. Questa è la vera saggezza. Gesù lo ha ripetuto più volte: Dio è un seminatore. Non dona frutti già maturi, ma ha seminato i semi della pace e della giustizia. Sta a noi farli germogliare. Spetta a noi far camminare gli zoppi, illuminare i ciechi, dare voce a chi non ha voce e servire i poveri, camminando con chi fa fatica, stando accanto e mostrando una via a chi è alla ricerca di un senso.
Il Messia è venuto, sta venendo. Si avvicina un po’ di più, ogni volta che un uomo, una donna, si piega al suo Spirito ed entra nella sua gioia. A volte lo vediamo all’opera in magnifici piccoli atti di pace e giustizia. Un giorno, forse, ciascuno di noi porterà davvero il volto di Cristo. Nel frattempo, di Natale in Natale, reimpariamo il Vangelo. E i poveri di questo mondo non smetteranno di chiederci, con pazienza e ardore: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.



