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Nella Marca calano i laureati


Scendono i giovani laureati a Treviso. La provincia è l’unica del Veneto a registrare una diminuzione, seppur lieve: dal 31,3% del 2018, si passa al 29,2% del 2024, con oltre due punti percentuali in meno. Padova, sede di una prestigiosa università, cresce invece di 10 punti, mentre altre sedi come Verona e Vicenza registrano anch’esse aumenti significativi; Venezia cresce di soli 1,9 punti. I giovani presi in esame hanno un’età compresa tra i 25 e i 39 anni, un periodo cruciale per l’ingresso nel mondo del lavoro. È difficile stabilire se il calo di Treviso sia dovuto alla “fuga dalla provincia” o a un minor interesse verso i titoli terziari, come lauree e diplomi Its.
Il dato trevigiano non è isolato e si inserisce in un contesto nazionale non particolarmente positivo. Anche Pavia, pur trovandosi nel ricco Nord-ovest, perde 5 punti di laureati, Brescia 4. mentre Rieti registra un -10. Molto meglio Bologna che si avvicina al 50 per cento, la crescita dei laureati non esclude il Sud: province come Enna e Vibo Valentia registrano incrementi simili a quelli di Padova.
Treviso, tuttavia, non mostra svantaggi particolari rispetto ad altre zone del Paese. Il mercato del lavoro è dinamico e dal 2023 il tasso di occupazione dei giovani tra i 25 e i 34 anni è salito dal 78,9 all’84,1 per cento, il più alto tra le province del Veneto. Positivo anche il dato sulle borse di studio: seppur con ritardi, la Regione Veneto riesce a soddisfare il 96% delle richieste.
Un ruolo importante è giocato dalle condizioni sociali. Secondo l’Istat, se i genitori non hanno un diploma di scuola superiore, in Italia solo il 12% dei figli prova a laurearsi; se almeno un genitore è laureato, la percentuale sale al 70%. Oltre due giovani su tre (67,1%) provenienti da famiglie in buone condizioni economiche desiderano proseguire gli studi all’università, mentre tra chi proviene da famiglie con condizioni economiche negative la quota scende al 46%. Questo fenomeno di autosegregazione contribuisce ad ampliare i divari educativi legati alla classe sociale d’origine. I tecnici parlano di “trappola della povertà educativa”: i figli di famiglie svantaggiate hanno meno possibilità di migliorare la propria condizione in futuro. La scuola, dunque, non svolge una reale funzione di scala sociale, e questo rappresenta uno dei dati più preoccupanti della ricerca.
A livello europeo, l’Italia si colloca al penultimo posto, con il 31,6% di laureati, davanti solo alla Romania. Ai vertici ci sono Irlanda, Lussemburgo, Lituania e Cipro, con percentuali superiori al 60%; la Francia guida i Paesi che superano il 50%, come Spagna e Danimarca. La Grecia ci precede di 11 punti.
Occorre, tuttavia, valutare con attenzione il confronto europeo, perché in molti Paesi esistono numerosi corsi terziari e Istituti tecnici superiori equiparati alla laurea. In Italia gli Its sono stati introdotti solo negli ultimi anni e stentano a essere scelti dagli studenti. Quest’anno, però, è previsto un forte potenziamento dei corsi disponibili, un aumento delle borse di studio e un’ulteriore spinta dagli indirizzi scolastici 4+2, che stanno tornando a regime.
Resta il fatto che una laurea aumenta notevolmente le possibilità di trovare lavoro rispetto a un diploma: secondo l’Istat, il tasso di occupazione dei laureati tra i 30 e i 34 anni è superiore di 12 punti rispetto a quello dei diplomati.