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Natale: E il Verbo divenne vagito

Il canto della Kalenda ci ricorda che in Gesù Cristo tutta la storia trova significato
24/12/2025

La venuta del Figlio di Dio nella debolezza della carne è un mistero insondabile, non un enigma da risolvere. Ci lascia stupiti, attoniti, infanti (incapaci di parlare) come il Verbo che, pur essendo prima dei secoli, irrompe nella storia con il vagito di un bambino. Possiamo essere presi dalla tenerezza e dalla dolcezza del bambino Gesù, ma non possiamo limitarci a una breve emozione, perché in questa prima verità di fede si adombra subito tutta la conseguenza del farsi uomo del Figlio di Dio: accettare, fino alla fine, le conseguenza della vita terrena. Per questo, l’icona bizantina della Natività presenta il neonato dentro una culla che è un sarcofago: anche a Natale non cessiamo mai di celebrare la morte e Risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo.

Mi colpiscono i due canti che il tempo di Natale ci propone nella Liturgia: quello che apre la Messa nella notte, la Kalenda, e quello che risuona nell’Epifania, il Noveritis.

Nella Chiesa vi era la consuetudine di ricordare nel Martirologio i martiri e i santi nel giorno della loro morte. Anche del Signore si fa memoria, ma nel giorno della sua nascita “secondo la carne”, il 25 dicembre.

Il canto della Kalenda, il cui nome deriva dalle prime parole del testo latino, si tiene nella notte di Natale. Oggi è collocato dopo il saluto trinitario, ma il luogo originario sarebbe al termine dell’Ufficio delle Letture, che può precedere questa celebrazione.

Il Signore entra nel tempo

“Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo... da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno... ventuno secoli dopo che Abramo... migrò dalla terra di Ur dei Caldei... all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno 752 dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo: Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne”.

Nasce per me

Un annuncio solenne che, passando dall’elenco dei fatti salienti della storia sacra e universale, si concentra su un tempo e un luogo limitati: quelli della nascita di Gesù Cristo. Significa che in Lui tutta la storia trova significato. Il Signore distrugge i confini dell’Eternità sconfinata ed entra nel tempo: l’impensabile avviene! E questo è per me: il noi potrebbe soffocare l’esperienza dell’amore personale e irrevocabile della seconda Persona della Santissima Trinità per me: “Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Dio nasce per me: nessuna delle mie vicende gli è indifferente. Che Dio veda tutto non è una minaccia, ma una grande consolazione.

L’Epifania manifesta la Pasqua

L’altro canto, il Noveritis (dall’incipit latino, che in italiano significa: “Voi sapete...”), si tiene nella solennità dell’Epifania, dopo il Vangelo: dall’ambone si dà l’annuncio solenne della data della Pasqua, descrivendo il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto quale centro dell’anno liturgico.

Questo perché l’Epifania, cioè la piena manifestazione di Gesù Cristo come Verbo di Dio e Salvatore del mondo, si svela e si realizza nella sua Pasqua di morte, sepoltura e risurrezione. “Fratelli e sorelle, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 5 aprile”.

Se da un lato l’Epifania manifesta la Pasqua, dall’altro la Pasqua realizza l’Epifania. Questo canto non solo getta un ponte tra le due solennità maggiori dell’anno liturgico, ma segna l’inizio di un cammino che ci condurrà fino alla meta pasquale, perché “A Cristo, che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, sia lode perenne nei secoli dei secoli. Amen”.

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