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Piombino Dese, la sala San Tommaso Moro compie dieci anni: scommessa vinta

La celebrazione del decennale, dopo la messa, si è spostata nella sala, per la tavola rotonda dal titolo “Una sala che è molto di più di una sala”

Si è celebrato, domenica 26 ottobre, il decimo anniversario della sala San Tommaso Moro di Piombino Dese. Un traguardo che conferma il ruolo centrale di questo centro culturale, ormai un punto di riferimento vivo e fiorente per la comunità.

Questo spazio, sorto dalle ceneri del vecchio teatro parrocchiale, è la dimostrazione di una sinergia virtuosa tra Chiesa e Istituzioni. L’intuizione e la tenacia di trasformare quel “non-luogo” in uno spazio vitale di cultura e incontro si devono al parroco, mons. Giorgio Marangon, e alla comunità che, insieme, ha potuto concretizzarsi, anche grazie alla fondamentale collaborazione dell’Amministrazione comunale, guidata, allora, da Pierluigi Cagnin. Questa intesa prosegue tuttora, con l’impegno dell’attuale Amministrazione, guidata da Cesare Mason, presente all’evento assieme ad alcuni assessori.

Un ringraziamento speciale è stato espresso anche al coordinatore, Fabio Santi, la cui dedizione garantisce che la sala sia sempre un motore di proposte di qualità e un luogo accogliente.

La celebrazione del decennale, dopo la messa, si è spostata nella sala, per la tavola rotonda dal titolo “Una sala che è molto di più di una sala”.

Sono intervenuti Dino Boffo, già direttore di “Avvenire”, Bruno Desidera, giornalista della Vita del popolo, Umberto De Conto, già presidente diocesano di Ac, e don Mariano Maggiotto, parroco di San Lazzaro e San Zeno, a Treviso. Le loro riflessioni hanno confermato la centralità della sala come luogo di incontro tra la “chiesa e paese”, un’espressione viva dell’impegno dei laici sul territorio.

Boffo ha esordito sottolineando come la parrocchia, e per estensione un centro come la sala San Tommaso Moro, non sia solo un luogo di preghiera liturgica, ma offra “sicurezza psicologica, etica, morale, intellettuale”. La sala è la prova che dalla parrocchia si può uscire, per essere “fervidamente impegnati e floridamente attivi”.

Desidera ha ricordato la dedica del centro al santo martire Tommaso Moro, patrono dei politici e dei governanti, offrendo una frase di Moro come filo conduttore per l’attività della sala: “Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere, soprattutto, l’intelligenza di saperle distinguere”. Per compiere questa distinzione, sono fondamentali la cultura, il dialogo e il confronto. Desidera ha, inoltre, ricordato l’intuizione di mons. Aldo Roma di investire sulla formazione sociopolitica dei laici.

De Conto ha individuato il vero “valore aggiunto” dell’esperienza di integrazione tra chiesa e paese nel Comitato di gestione. Queste persone non si limitano a programmare, ma “puliscono i pavimenti, garantiscono la custodia, l’apertura, l’assistenza”, assicurando che la struttura sia sempre “vissuta e messa continuamente in attività”.

Don Maggiotto ha definito la sala “l’orgoglio delle persone di buona volontà”, che hanno compreso che “il tempo è superiore allo spazio” (i processi sono più importanti), ma che i processi necessitano di spazi dedicati. E ha evidenziato il valore del volontariato come “benedizione dal cielo” e massima espressione dell’umanità. Ha, quindi, lanciato una riflessione intensa, distinguendo tra compassione (un sentimento) e consolazione (un atto). Ha ammonito: “O la compassione si trasforma in atti possibili di consolazione, oppure è falsa, è ipocrita”. Il volontariato è la capacità di investire qualcosa di sé nel bisogno altrui.

Riguardo alla missione culturale della sala, don Mariano ha definito la cultura come il “modo di intendere e di vivere la vita”. Fare cultura significa, dunque, creare “eventi” (dal latino eventum, far sorgere, far muovere) che facciano muovere le emozioni. In un mondo dove i social media rischiano di sostituire il dialogo con una “molteplicità di monologhi” dai toni aggressivi, luoghi come la nostra sala sono fondamentali per l’ascolto, il confronto e la coltivazione della “cultura del dialogo”. (Ornella Marangon e Ismaele Mason)

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