mercoledì, 24 luglio 2024
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Siccità: cambiamento climatico al galoppo

Andrea Crestani (Anbi): “Possibili scelte d’emergenza”

Cambiamento climatico al galoppo in Veneto. Apriamo il bollettino trimestrale sulla disponibilità della risorsa idrica, redatto da Anbi Veneto, con la speranza di tornare alla normalità. Lo facciamo da almeno tre anni. Cerchiamo la conferma di una inversione che per l’ennesima volta non si vede. Nel Veneto lo scorso dicembre 2023 è piovuto solo tre giorni il 1°, il 13 e il 31.

“Col secco va ben anca ea tempesta” dicevano gli anziani, quando la siccità devastava i raccolti. Dobbiamo ormai abituarci, anche il 2024 si annuncia come un anno dei record.

“Il cambiamento climatico è troppo veloce - afferma Andrea Crestani, direttore dell’Associazione nazionale bacini imbriferi (Anbi) del Veneto -, i piani di investimento, per far fronte con invasi e irrigazione di soccorso alla mancanza d’acqua, non saranno pronti immediatamente, ci sarà uno spazio finestra in cui dovremmo prendere provvedimenti d’emergenza. Dovremo ridurre i prelievi per irrigazione, concentrandoci in alcune zone, le aziende agricole potrebbero subire danni”.

Non solo piove poco, ma piove anche male: piove in maniera concentrata e violenta.

Di questo passo ci andrà bene anche la tempesta, pur di avere l’acqua...

Ovviamente questo non vale per l’agricoltura, subire la distruzione del raccolto a causa di piogge intense ed eccessive, non è certo la soluzione. L’allagamento dei campi danneggia le radici. In Pedemontana è piovuto un po’, ma in pianura non è così: la prospettiva è la medesima del 2022, le falde potrebbero andare ancora in sofferenza, non si sono ancora completamente ricaricate.

Dovremo pensare a un’agricoltura con poca acqua?

No di certo. Dove non c’è acqua disponibile lungo tutta la stagione, non è possibile una produzione sostenibile e redditizia. Dobbiamo ricorrere a colture estensive, poco specializzate, che producono 1.200 o 1.300 euro per ettaro. Un’azienda media, di una decina di ettari, non può sopravvivere. Basta passare al mais e alla soia, che richiedono però acqua disponibile: con 10 ettari garantiamo il reddito a una persona. Il futuro sta nella specializzazione, nella colture orticole e frutteti, colture che generano 15 mila euro per ettaro, colture che consentono buoni ricavi, ma soprattutto generano occupazione.

Dunque, il futuro agricolo è nella specializzazione e, quindi, nella disponibilità d’acqua?

Una nostra analisi, condotta sugli investimenti del Ministero dell’Agricoltura, mostra come il 76 per cento vada alle colture specializzate. Stiamo investendo in aree che hanno duo o tre denominazioni di origine, coltivazioni di viti, orticole, di riso. L’87 per cento degli investimenti di progetto riguardano aree che sono state interessate da siccità o da ondate di calore negli ultimi 5 anni. Grazie al Programma di sviluppo rurale nazionale, Psrn, alla legge di bilancio 178/2002, al Pnrr abbiamo in cantiere 115 progetti per un valore di un miliardo e 100 milioni di euro circa. Sono interessati in tutta Italia 478 mila ettari. Con queste opere, si risparmieranno 548 milioni di litri d’acqua e si ridurranno le perdite per 465 milioni di metri cubi. E’ come se ogni anno mettessimo da parte tutta l’acqua contenuta nel lago di Garda. I cantieri del Psrn, del Pnrr sono in stato avanzato, quasi al 100 per cento. Più lenti, invece, i cantieri della legge di bilancio 178/2020. L’indagine ci dice che stiamo investendo per il 79 per cento in colture specializzate, 16 per cento sui seminativi. Con questi progetti prevediamo un incremento della produzione agricola di quasi cento milioni di euro all’anno.

Insomma, il Ministero ha promosso un forte incremento delle colture specializzate, puntando sulle infrastrutture idriche?

Questo aumenterà il reddito agricolo. Non solo. La stabilità dell’irrigazione aiuta a prevenire le patologie delle piante, garantendo la produzione; promuove il cibo sano, la sicurezza alimentare e il benessere del consumatore. Invasi, irrigazione a pioggia, canalizzazioni, controllo delle perdite significano benessere, ma anche, e questo può sembrare meno evidente, resilienza climatica, equilibrio degli ecosistemi legati alla presenza dell’acqua sul territorio, consegna di un ambiente integro alle future generazioni.

Come riuscite a mantenere la disponibilità d’acqua?

Con queste strutture e con il grande piano di invasi che come Consorzi di bonifica abbiamo presentato al Governo, alla cabina di regia sull’acqua. Si chiama Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza nel settore idrico (Pniissi) e dovrebbe prevedere investimenti per altri 500 milioni di euro. Il Veneto deve continuare a essere una regione d’acqua. Abbiamo combattuto per sottrarre il terreno alle paludi, molta parte del territorio è al di sotto del livello del mare. Se da un momento all’altro si fermassero le idrovore, di nuovo diventeremmo paludi. Dobbiamo partire da qui, dal fatto che il nostro è un territorio fortemente antropizzato e con un ambiente fortemente artificiale. Impensabile tornare indietro. Non possiamo neppure pensare all’irrigazione a goccia ovunque. Lo possiamo fare come soccorso in periodi particolarmente siccitosi, ma l’acqua deve scorrere nei nostri canali. Ve lo immaginate il parco di una villa veneta senz’acqua, senza canali? Poca acqua significa devastazione del paesaggio, che diventerebbe arido, poco significativo anche dal punto di vista turistico ambientale.

Diventa strategico un piano degli “invasi”.

Senza dubbio. Il Veneto trattiene il 5 per cento dell’acqua piovana contro l’11 per cento, ad esempio, della Sardegna. Forse siamo stati condizionati dalla tragedia del Vajont. La diga fa paura. Guardi cosa sta succedendo nel vicentino, dove il Consorzio Brenta ha pensato a uno sbarramento sul Vanoi: tutti si sono ribellati.

Ma allora, puntiamo sulle cave ormai non più coltivabili.

Ci sono zone come il Trevigiano o il Vicentino che potrebbero utilizzare cave quasi eseguite. Sarebbe un’irrigazione di soccorso, ma sarebbe utile. Tutti i proprietari faticano a restituire le cave. La legge prevede che a fine coltura si debba ripristinare l’ambiente, un costo che i cavatori non si vogliono assumere. Inoltre, c’è sempre la speranza di una nuova concessione. In questa situazione bisogna intervenire per legge.

Un altro problema è quello del cuneo salino che, ogni volta che i fiumi vanno in secca, risale per chilometri.

Anche su questo ci sono progetti. Già alla foce dell’Adige sona installati i “flap”, delle dighe mobili che si aprono quando la spinta arriva dal fiume, quando l’acqua scende verso il mare, e si alzano quando l’acqua arriva dal mare e risale il fiume. Sono dei piccoli Mose. Il Veneto è un’area particolare, in 150 chilometri si va dal mare alle montagne, la regione in parte è 3 o 4 metri sotto il livello del mare. La regimazione dell’acqua è stata la principale preoccupazione, deve continuare a esserlo e l’uomo deve essere protagonista nel disegnare il territorio.

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