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Corruzione: sistema o malattia?

Per tanto tempo ci è stato detto che la corruzione era al Sud dell’Italia. Al Nord trovavi al massimo qualche mela marcia. Ma le ultime vicende legate al Mose e all'Expo ci svegliano dall’illusione che la corruzione non sia presente al Nord

I napoletani nominano la camorra con la parola “sistema”. Non si tratta di sviare l’attenzione da un problema, ma di essere precisi nel definirlo, e i partenopei lo sono. Mentre noi al Nord pensiamo alla camorra, e alla malavita in generale, come ad un male che attanaglia un corpo sano, loro sperimentano che quello è il sistema nel quale si vive, tutti.

Per tanto tempo ci è stato detto che la corruzione era al Sud dell’Italia. Al Nord trovavi al massimo qualche mela marcia; eliminata quella, il cesto era pieno di mele buone. Ce lo hanno fatto credere.

Certo, è vero che al Sud non mancano collusioni sistematiche e consolidate tra mafie di vario genere e politica, che sono numerose le opere pubbliche inutili, a volte incomplete e costose, realizzate perché tanti potessero mangiare dal ricco piatto degli appalti. Ma tutto questo non è esclusiva del Sud.

Il Mose, l’Expo sono solo i più grandi appalti dove “tutti”, a quanto pare, hanno mangiato. Le provenienze politiche degli indagati ci segnalano che ogni partito pare coinvolto. Questi grandi appalti pubblici e anche altri minori ci svegliano dall’illusione che la corruzione non sia presente anche al Nord.

 

Un problema vero

La corruzione riguarda tutti. Riguarda ognuno di noi che paga le tasse e vede i suoi soldi usati per ingrassare persone che li prendono solo per il fatto di occupare un certo posto nella pubblica amministrazione o in altre leve del potere. L’ambasciatore degli Usa in Italia, John R. Phillips, è intervenuto quale ospite in una conferenza sulla riforma della giustizia civile davanti agli studenti dell’istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. La corruzione, ha evidenziato l’ambasciatore, “in Italia è come una tassa da pagare sul 10% dei vostri prodotti” e per affrontarla “è giusto innalzare le sanzioni, reintrodurre il reato del falso in bilancio, perché è proprio lì che si annida la corruzione, ma anche cambiare mentalità e sostenere, come abbiamo fatto in America, con una legge del 1986, i dipendenti che denunciano pratiche illecite delle aziende che intendono truffare lo Stato”.
Deve dircelo un ambasciatore straniero? Sì, perché alla mangiatoia della corruzione hanno attinto tutti: è il sistema. Purtroppo, molte volte, il sistema di corruzione è diventato il modo nel quale il pubblico e il privato si relazionano tra di loro.
Una lotta per tutti

Occorre che ogni italiano faccia la sua parte. Lo deve fare il semplice cittadino “perché molti pensano che rubare allo Stato sia meno grave che rubare a un privato, ma bisogna lavorare anche per fare crescere il senso civico di ciascuno”, sostiene l’ambasciatore. Insomma occorre crescere persone oneste. Chi non è d’accordo? Ovviamente tutti, il problema è il “come” e il “chi”. Questo non può essere appalto delle sole famiglie o della scuola, anche se queste devono far la loro parte.
Anche la Nazione deve fare la sua parte. Una persona onesta saprà affrontare le ingiustizie se il suo Stato la sostiene, ma quando questo non succede sarà tentata di trasformarsi in furba. Se i soldi delle tasse vanno in corruzione o in cattive gestioni, il cittadino si difenderà, ma non sarà più onesto nel pagare. Se tanti figli degli altri trovano lavoro per raccomandazione, anche il genitore onesto sarà tentato si trovare scorciatoie. Se ai concorsi arrivano primi sempre gli stessi figli di persone note che farà il figlio dell’operaio o dell’impiegato? Anche queste sono per certi aspetti forme di corruzione, cioè di sopraffazione: il corruttore fa i suoi affari e danneggia l’onesto, che è tentato a sua volta di fare la stessa cosa. Lo Stato deve occuparsi di questo.
La giustizia

Nel nostro paese la durata dei processi mediamente è lunga tre volte di più rispetto agli altri Paesi sviluppati. Per questo motivo, sostiene l’ambasciatore, “Se non si interviene in fretta in questo campo gli investitori esteri continueranno a dirottare altrove le proprie risorse”.
In Italia esistono anche i casi positivi. Il diplomatico cita il caso di Mario Barbuto, che “12 anni fa è diventato presidente del Tribunale di Torino e in 6 anni ha drasticamente ridotto le cause pendenti applicando una tecnica manageriale che ora il governo gli ha chiesto di applicare al resto d’Italia”. A parere del diplomatico, una buona soluzione “che in America ha funzionato, è quella di colpire economicamente i magistrati meno produttivi: da noi c’è stata una risposta collettiva che non ha intaccato l’indipendenza dei giudici”.
Il “jobs act” da solo non darà lavoro. La lotta alla corruzione e un sistema giudiziario efficiente lo faranno di più. La “reintroduzione” del falso in bilancio non può essere oggetto di estenuanti contrattazioni nella maggioranza che appoggia il governo Renzi, ma un passo verso la giustizia. Che gli italiani inizino ad occuparsi dei veri problemi e lo chiedano anche ai loro politici così sensibili in campagna elettorale.

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