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La morte di Gentilini: la città saluta lo “sceriffo”

Amato ma controverso
30/04/2025

Il sindaco “sceriffo” se n’è andato. Giancarlo Gentilini è morto il 24 aprile scorso, all’età di 95 anni, in seguito a un’infezione che si era manifestata solo qualche ora prima. Moltissime, in questi giorni, le espressioni di cordoglio, soprattutto da parte dei dirigenti e militanti del suo partito, la Lega, ma anche da molti avversari politici e da tanti cittadini, come testimoniato dalla massiccia presenza alla messa funebre, che si è tenuta martedì 29 aprile a Treviso, nel tempio di San Nicolò.

Ma non sono, neppure, mancati gesti clamorosi, come quello degli attivisti del centro sociale Django, che il 25 aprile hanno portato in piazza una panchina, come quelle che lui aveva tolto dai giardinetti della stazione, per impedire ai migranti di “bivaccarvi”.

La biografia

Giancarlo Gentilini nacque a Vittorio Veneto, il 3 agosto 1929, da una famiglia di commercianti. In tenera età si stabilì con la famiglia a Treviso, e studiò al Collegio vescovile Pio X, istituzione con la quale manterrà sempre un forte legame. Dopo gli studi in Giurisprudenza, lavorò nella locale Cassa di Risparmio, poi Cassamarca, e, lì, diventò responsabile dell’ufficio legale, alle dipendenze di quel Dino De Poli con il quale si sarebbe, poi, spesso confrontato. Svolse il servizio militare tra gli Alpini, che diventarono una sua seconda famiglia. Sposò, nel 1962, Teresina Pini, dalla quale ebbe due figli, Stefano e Antonio.

Nel 1994, quando era da poco in pensione, venne candidato a sindaco di Treviso da una coalizione comprendente la Lega Nord e alcuni partiti centristi. Il 5 dicembre di quell’anno venne eletto sindaco, sconfiggendo al ballottaggio Aldo Tognana. Dopo un iniziale momento difficile, durante il quale rischiò di essere messo in minoranza, diventò uno dei sindaci più popolari, e, al tempo stesso, controversi, d’Italia. Venne confermato sindaco quattro anni dopo, nel 1998, guidando una coalizione di centrodestra e battendo al ballottaggio Domenico Luciani. Dal 2003 al 2013 fu vicesindaco di Gian Paolo Gobbo, in una città guidata stabilmente dalla Lega. Il centrodestra si divise, però, nel 2013, proprio sul suo nome. La Lega lo candidò ugualmente, ma Gentilini fu sconfitto al ballottaggio da Giovanni Manildo. Restò a palazzo dei Trecento come consigliere di opposizione, e, proprio insieme a Manildo, sfilò all’adunata nazionale degli Alpini del 2017.

Nel 2018, contribuì, alla guida della lista “Zaia-Gentilini”, alla vittoria di Mario Conte ed entrò in Consiglio comunale. Non si ricandidò nel 2023. Nel frattempo, dopo essere rimasto vedovo nel 2017, sposò, l’anno successivo, ormai ottantanovenne, con rito civile, Maria Assunta Pace.

Amato, ma controverso

“Perdiamo un grande uomo, un riferimento importantissimo per valori e capacità. Gentilini ha onorato il suo impegno dall’inizio alla fine, cercando di essere sempre presente nella vita amministrativa della città, con i suoi consigli e le sue segnalazioni anche dopo aver concluso il mandato amministrativo. Gli va riconosciuto, fra gli altri, il merito di aver cambiato il ruolo del sindaco in Italia, portandolo fuori dal palazzo e in mezzo alla gente”. Così l’attuale sindaco, Mario Conte. Anche il predecessore di centrosinistra, Giovanni Manildo, alpino come Gentilini, ne ha tracciato un ricordo commosso.

Molti, in questi giorni, hanno messo in risalto il suo amore per la città, generoso e viscerale, la dedizione nel suo servizio di amministratore, la capacità di incontro e ascolto con le persone, un modo innovativo di interpretare la carica di sindaco, dopo che la legge sull’elezione diretta era entrata in vigore solo un anno prima. Fu un leghista “libero”, soprattutto quando si oppose alla “secessione” sognata da Umberto Bossi.

Una ricostruzione della sua vicenda politica, tuttavia, non sarebbe completa, senza accennare anche ai molti aspetti controversi della sua avventura amministrativa, che il nostro giornale ha sempre messo in luce, e, spesso, riprovato, attirandosi qualche “reprimenda”. Se di persona era empatico, generoso e attento agli altri, rimase, in qualche modo, “prigioniero” del “personaggio Gentilini”, da lui stesso creato, che si impose in tutta Italia per le invocazioni di “pulizia etnica” contro i neri e gli omosessuali, per la richiesta di riaprire i bordelli, per i riferimenti non episodici ai tempi del fascismo, per gli attacchi alla stessa Chiesa e a quelli che chiamava “preti rossi”. I migranti, in particolare, avrebbe voluto caricarli “sui vagoni piombati”, avrebbe voluto vestirli “come leprotti”, per fare “pum pum pum”. Forse, non credeva nemmeno lui a quello che diceva, ma le parole restano, tanto che gli fruttarono processi, e pure una condanna per “istigazione all’odio razziale”, passata in giudicato in Cassazione il 15 maggio 2014. Per certi aspetti, un anticipatore. “Ho scritto a Trump, ti nomino sceriffo numero 2”, disse nel 2018. Paradossalmente, una battuta più pertinente di tante altre.

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