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Messa del Crisma, il Vescovo: dal “tornare all’origine” una “Parola per la vita”

Una meditazione attorno al brano del Vangelo (Lc 4,16-21) e alle parole che il Vescovo pronuncia al momento della consegna del libro dei Vangeli, durante il rito dell’Ordinazione diaconale: è stato questo il fulcro dell’omelia del vescovo Michele Tomasi alla messa del Crisma di questa mattina in cattedrale, durante la quale sono stati benedetti gli oli dei catecumeni, degli infermi e il crisma, e i sacerdoti hanno rinnovato le loro promesse

Una meditazione attorno al brano del Vangelo (Lc 4,16-21) e alle parole che il Vescovo pronuncia al momento della consegna del libro dei Vangeli, durante il rito dell’Ordinazione diaconale: è stato questo il fulcro dell’omelia del vescovo Michele Tomasi alla messa del Crisma di questa mattina in cattedrale, durante la quale sono stati benedetti gli oli dei catecumeni, degli infermi e il crisma, e i sacerdoti hanno rinnovato le loro promesse.

Ricevi il Vangelo di Cristo

Del quale sei divenuto l’annunziatore:

credi sempre ciò che proclami,

insegna ciò che hai appreso nella fede,

vivi ciò che insegni”.

“Ricordate, fratelli nel presbiterato e nel diaconato, queste parole, pronunciate dal Vescovo al momento della consegna del libro dei Vangeli, durante il rito dell’Ordinazione diaconale? Come a Gesù nella sinagoga di Nazareth fu affidato il rotolo del profeta Isaia, così a noi è stato affidato il Vangelo stesso di Cristo”.

Il Vescovo ha ripercorso le parole chiave “credi sempre”, “insegna”, “vivi”, invitando i sacerdoti a tornare all’origine, “all’incontro con un Vivente, che ci ha spinto a donare la vita per proclamare il valore, la bellezza e la necessità dell’incontro con il Signore Gesù”; ha ricordato l’importanza di vivere un “esodo dalle convinzioni personali verso un’esperienza comunitaria di ascolto dell’annuncio degli altri, in cui riconosco ed imparo aspetti della fede a me forse sconosciuti, ma che possono diventare necessari e vitali”.

Un modo per “essere autenticamente fedeli all’altro compito: “insegna ciò che hai appreso nella fede”. Quello che rimarrà nel cuore e nella mente in questo dialogo amoroso cuore a cuore, e la ferita che rimarrà a segnarci nella lotta serrata con l’angelo – come nella notte di Giacobbe – diventerà ciò che abbiamo da comunicare e da insegnare. Il Vangelo sarà l’unico contenuto che conta, e in esso l’esperienza di essere amati, voluti e perdonati, la fraternità accolta a partire dalla rivelazione della paternità infinitamente misericordiosa di Dio. Sapremo dire Parole di vita, di conversione, di speranza, di fraternità, di pace. Diremo parole che arrivano al cuore e alla mente, parole vere, parole necessarie. Parole di Dio, nostre perché ricevute da Lui, dal suo amore. Chi ci incontra, insegna ancora papa Francesco, «ha sete di autenticità [...] reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l’Invisibile»”

Vivi ciò che insegni” è l’ultima parte del compito a noi affidato.

Non solamente un pur doveroso richiamo alla coerenza fedele “tra ciò che insegniamo e ciò che sperimentiamo concretamente noi stessi – ha sottolineato mons. Tomasi -, è un banco di prova più profondo. È richiamo ad annunciare un contenuto semplice, che possa dare forma ad un’esistenza e che possa essere concretamente vissuto: non complicate teorie, non modelli pastorali o sistemi etici, ma una Parola per la vita. È banco di prova di autenticità di fede, perché solo ciò che veramente ci convince ci cambia anche la vita. È prova della disponibilità a essere davvero discepoli evangelizzati noi stessi dall’annuncio che ci è donato di fare”. Ed ecco gli esempi sotto forma di interrogativi: “Quando insegniamo Cristo che perdona, riusciamo a perdonare a nostra volta, a superare risentimento e sospetto nei confronti degli altri? Quando ci è dato di annunciare il Cristo che ci chiede di amare i nostri nemici, come riusciamo a guardare al fratello e alla sorella con cui non riusciamo a venire a patti? Quando insegniamo la fiducia in Dio, riusciamo a vivere senza preoccuparci per la nostra vita, di quello che mangeremo o berremo, né per il nostro corpo, di quello che indosseremo? Quando sentiamo, dalla nostra stessa voce, che il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo, dove riponiamo le nostre sicurezze?”.

“Penso che cogliamo tutti una corrente fresca ed entusiasmante, un circolo di vita buona contenuto nella consegna a ciascuno di noi – e attraverso di noi a tutti i fedeli – del Vangelo di Cristo, che dà forma all’esistenza del discepolo che annuncia la Parola, forma fondata stabilmente in Cristo, ma sempre nuova, nuova come la vita” ha sottolineato mons. Tomasi, ricordando il segno del Vangelo posto sul capo di un Vescovo al momento dell’ordinazione, segno eloquente di sottomissione piena alla Parola.

“Fratelli e sorelle – la conclusione -, vi chiedo di pregare, affinché i miei limiti umani non impediscano la mia sottomissione alla Parola, e affinché il suo annuncio generi nuova vita per tutta la Diocesi in questo nostro tempo. Vi chiedo anche di pregare perché dalla comune consegna al Vangelo crescano i legami di “intima fraternità sacramentale”, legami di “carità apostolica, di ministero e di fraternità” (Presbiterorum Ordinis, 8) del Vescovo con i presbiteri e dei presbiteri tra di loro, perché possiamo essere strumenti efficaci della fecondità della vocazione battesimale di tutti i fedeli, ed essere tutti insieme Parola di Vangelo pronunciata con amore al nostro mondo”.

Scarica il testo completo dell’omelia

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