La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
Leone XIV in Turchia: intervista a mons. Martin Kmetec, arcivescovo di Izmir
Una “grande gioia”, ma anche “un impegno nuovo a essere sale e lievito in questa terra” e “a lavorare con perseveranza e speranza per l’unità delle Chiese, per essere in questo mondo testimoni di pace”. A dare voce alle emozioni della piccola Chiesa cattolica turca, all’indomani del viaggio apostolico del Papa in Turchia, è mons. Martin Kmetec, arcivescovo di Izmir e presidente della Conferenza episcopale di Turchia. Il Sir lo ha raggiunto telefonicamente per ripercorrere i momenti salienti del viaggio tra Ankara e Instabul, ma soprattutto per sapere come la piccola comunità cattolica ha vissuto questi giorni.
Eccellenza, cosa ha significato per voi la visita di papa Leone nella vostra terra?
Prima di tutto, un ritorno a Cristo, così come lo professiamo nella fede di Nicea. È Lui il centro di tutto: della Chiesa e della sua vita. L’evento di Nicea non appartiene soltanto al passato, ma appartiene all'oggi e rappresenta una garanzia per il nostro futuro. Si tratta, quindi, di accogliere ora questo dono nella nostra vita, rinnovare la nostra esistenza cristiana a partire da Lui e incamminarci verso il futuro. Papa Leone, il patriarca Bartolomeo e il patriarca armeno Sahak II Mashalian hanno lanciato un forte appello: lavorare con perseveranza e speranza per l’unità delle Chiese, per essere in questo mondo testimoni di pace. È richiamo a essere fermento di riconciliazione e di amore. È un appello che da qui, da questa terra, si rivolge a tutte le comunità cristiane nel mondo, soprattutto a quelle ortodosse, che vivono divisioni e queste divisioni sono purtroppo alla radice di guerre, come sta avvenendo in Ucraina. E non dimentichiamo la pace in Medio Oriente, in queste terre segnate da tante divisioni. Il significato di questa visita è enorme: segna un nuovo impegno nella vita e nella testimonianza della nostra Chiesa. Abbiamo vissuto un grande segno di unità e di amore fraterno, soprattutto durante la celebrazione dell’Eucaristia, che per noi è stata un evento storico: mai prima d’ora tutte le Chiese orientali e la Chiesa latina avevano celebrato insieme in questo modo.
C’è un gesto che l’ha colpita in modo particolare?
Un gesto bellissimo e sempre nuovo è stato l’abbraccio tra papa Leone e il patriarca Bartolomeo, carico di significato. Poi, l’abbraccio con il Patriarca armeno. Per me, personalmente, sono stati preziosi anche i brevi scambi di parole, vissuti nella vera fraternità. L’ho percepito fin dal primo momento, quando ho salutato il Papa nella cattedrale: il suo sguardo negli occhi, il continuo ringraziamento e la gratitudine verso di noi e la nostra piccola Chiesa. È stato un dono immenso.
Come ripartite dopo questo evento?
Vogliamo essere, come dice Gesù, sale e lievito in questa terra, rimanendo fedeli a ciò che Cristo ci chiama a essere. Ripartiremo riflettendo profondamente sui messaggi che il Papa ci ha consegnato, riprendendo i punti essenziali e continuando il cammino. Questa visita ci ha donato una grande speranza, fondata su Cristo e sul suo messaggio, che deve essere vissuta anche nella piccolezza e debolezza della nostra comunità per lasciare che Cristo operi attraverso di noi, che Dio e lo Spirito Santo agiscano tramite la nostra vita e la nostra testimonianza cristiana: questo è il nostro impegno.
Con quali sentimenti vi ritrovate oggi, all'indomani di questa visita?
Con una grande gioia. La parola finale, la più importante, è ringraziare Dio continuamente, con tutto il cuore, e ringraziare anche tutti coloro che hanno partecipato alla preparazione e contribuito alla organizzazione di questo viaggio. Siamo davvero felici. Ricevo messaggi semplici, ma profondi, dalle persone che hanno potuto salutare personalmente il Papa. Una signora, catechista, mi ha detto: “Ho potuto salutare il Papa, e questo incontro rimarrà per tutta la mia vita”.



