Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Amima mundi: a Treviso la mostra delle opere realizzate dai detenuti di Santa Bona











L’arte come ponte tra il dentro e il fuori, tra chi sta in carcere e il resto della cittadinanza. Una mostra che non è solo una mostra, in un luogo che non è solo uno sfondo pregevole per le opere d’arte. È un momento profondo e intenso quello dell’inaugurazione, a palazzo dei Trecento, a Treviso, di Anima mundi, seconda esposizione delle opere d’arte degli studenti della Casa circondariale di Treviso.
L’anno scorso, alcune opere erano state esposte a Lughignano di Casale; quest’anno l’evento, allestito nel fine settimana del 6, 7 e 8 giugno, si è spostato nel cuore del capoluogo della Marca, in un “luogo, non solo di democrazia, prerequisito di ogni libertà, in quanto sede del Consiglio comunale cittadino, ma anche di ricostruzione”, come ha voluto sottolineare il sindaco, Mario Conte, all’apertura della mostra. Una ricostruzione che nelle vite delle persone detenute parte proprio dalla scuola, che in carcere è gestita dal Cpia Manzi.
Il lavoro delle professoresse della Casa circondariale ha trovato il modo di aiutare le persone recluse a esprimersi, attraverso l’arte e la musica, le cui note hanno fatto da sottofondo al vernissage. E così, emergono non solo talenti, ma anime, nell’espressione del proprio essere.
“Cosa stiamo guardando? - commenta il direttore della Casa circondariale, Alberto Quagliotto -. Credo che dovremmo andare al di là delle apparenze, sono opere belle, ma sono, soprattutto, materializzazione di percorsi di vita”.
E l’esposizione pubblica, allora, si trasforma nel coronamento di questo percorso, nobilitato dalla vista e dal riconoscimento altrui, in una creazione che dà visibilità a ciò che di solito rimane invisibile, dietro le mura del carcere.
L’anno scorso, hanno chiarito le insegnanti, il tema era quello di ridare valore a ogni persona, dandogli modo di esprimersi, quest’anno, invece, il filo conduttore dei laboratori era il “fare”, coniugando pensiero e azione nelle proprie espressioni e realizzazioni, un pensiero che nel contesto carcerario trasforma e diventa salvifico.
Prima del taglio del nastro, sono state anche lette alcune poesie, altro modo per dare voce al proprio sé.