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Consumo di suolo: a Treviso scomparsi altri due ettari di verde

Il suolo impermeabilizzato non assorbe l’acqua, dunque aumenta il rischio di dissesto idrogeologico; le nuove costruzioni aumentano il traffico, il che significa aumento di emissioni di gas climalteranti; cemento e asfalto trattengono il calore, dunque le nostre città sono sempre più calde
14/11/2025

La scienza sta provando da anni in tutti i modi a far passare un semplice messaggio: cementificare, asfaltare, ingrigire tutto ciò che è verde è la strategia perdente di ogni politica che punti al benessere collettivo. A Treviso questo messaggio sembra ancora inascoltato, a giudicare dalle betoniere in azione. L’Ispra certifica nero su bianco che nel 2024 in provincia di Treviso sono scomparsi altri 90 ettari di terreno vergine. Per rendere l’idea, è come se si fosse cementificato in toto il Parco dello Storga. Nel capoluogo ci troviamo con altri 2 ettari di cemento in più: sarebbe come aver cementificato il bosco urbano di San Paolo e gli orti urbani lì accanto. Il paragone non è casuale, visto che proprio in una porzione di quel territorio si doveva costruire un supermercato: in questo caso si è trovato un accordo con la proprietà, ed è stato fatto il trasferimento dei crediti edilizi cioè “invece di farti costruire qui, ti permetto di riutilizzare altre aree già edificate”. Una “magia” che il Comune non ha potuto o voluto replicare in altre zone della città, dove i fazzoletti di terra sono contesi soprattutto dai supermercati. Sono almeno tre le nuove aree commerciali previste in Strada Ovest (“Corti 1”, “San Bartolomeo 1” e “San Bartolomeo 5”), nonché una struttura ricettiva e attività commerciale nella vicina lottizzazione “Cattaneo” (inizio della Noalese); a Monigo, sulla Feltrina, “Cisole 1” vedrà residenze e due immancabili aree commerciali, una delle quali sarà un supermercato, nonostante la presenza del Lando ad appena due chilometri (e che oltretutto ha già ottenuto dal Comune il via libera per un ampliamento).

Situazione Appiani

All’Appiani la situazione sfiora il ridicolo, ma è amara realtà. Su un quadrante della rotonda, quello del Panorama, la vita scorre pacifica e i carrelli della spesa solcano il loro suolo grigio in apparenza incuranti del futuro. Apparentemente ignari del fatto che dalla parte opposta della rotonda l’attività è febbrile: uomini e macchine lavorano senza sosta sull’ex prato verde, pronto a vedersi innalzare un nuovo market targato Alì. Nel frattempo, nei supermercati della catena stanno già cercando il personale da impiegare. Ma anche dall’altro lato di viale della Repubblica si lavora a spron battuto, pure durante il fine settimana, come in una gara a chi finisce prima. Come se il Panorama si trovasse da solo a servire un’ampia zona: 700 metri in linea d’aria lo separano dal Cadoro di viale Monfenera e 900 dall’Alì (sì, un altro) di Santa Bona. Volendo fare una passeggiata a piedi di un’ora, tra pochi mesi si potrà fare la spesa in cinque supermercati diversi. Non fosse per il panorama grigio e la quantità di particolato atmosferico respirato, potrebbe pure essere una buona idea per chi non si ricorda mai di farsi la lista della spesa.

Il prezzo da pagare

Scherzi a parte, tutto questo ha un costo, e l’Ispra lo ha stimato bene: “La perdita dei servizi ecosistemici legata al consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico: nel 2023 la riduzione dell’«effetto spugna», ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, secondo le stime, costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno. Un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima”. Il prezzo è anche l’invivibilità dei cittadini: il rapporto “Ecosistema urbano” di Legambiente ha appena decretato lo scivolamento del Comune di Treviso dal sesto al tredicesimo posto tra i capoluoghi di provincia italiani.

Non solo una questione ambientale

Che ci piaccia o meno, l’essere umano è inserito in un ambiente e in moltissimi modi ne dipende, per cui voler arginare il consumo di suolo non significa fare un favore ai fili d’erba: il suolo impermeabilizzato non assorbe l’acqua, dunque aumenta il rischio di dissesto idrogeologico; le nuove costruzioni aumentano il traffico, il che significa aumento di emissioni di gas climalteranti; cemento e asfalto trattengono il calore, dunque le nostre città sono sempre più calde (e il caldo uccide, anche gli esseri umani). Eppure lo spazio già grigio da utilizzare non mancherebbe, visto che gli edifici dismessi sono sempre più numerosi. Alcuni di questi, in effetti, sono oggetto di un recupero edilizio appena concluso o in fieri: la palazzina dell’ex Provincia vicino al Duomo, l’ex Arpav in via D’Annunzio, l’ex Intendenza in via Canova, l’ex Confindustria in piazzetta Sant’Andrea, Ca’ del Montello in via Montello, gli ex Mulini Mandelli. Il denominatore comune? Saranno tutti appartamenti di lusso.

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