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Il ritorno alla vita di Mario dopo la reclusione

Una storia di riscatto, che non è la normalità, ma che vuole insegnare a chi sbaglia che è sempre possibile rimettersi in gioco. Il racconto esce all'interno della rubrica mensile "Condannati a vivere". Ricordiamo l'e-mail cappellania.penitenziaria@diocesitreviso.it per chi volesse intervenire sugli argomenti che affrontiamo ogni mese

Nella maggior parte dei casi, l’uscita dal carcere, senza un paracadute, senza una rete di familiari o amici, senza una casa dove andare, è una condanna alla recidiva e all’ingresso in una spirale di illegalità. Ma non tutte le storie finiscono male. Forza di volontà, voglia di riscatto e l’aiuto di persone comuni, che hanno desiderio di fare qualcosa per gli altri, possono fare la differenza.
A raccontarlo è Mario Francescon, 57 anni, una vita complicata, che cambia radicalmente nei due anni trascorsi in carcere. “Finché sei dentro è difficile darti la scossa - racconta -, io avrei voluto usufruire delle misure alternative al carcere, ma non è stato possibile, allora mi sono rimboccato le maniche, mi è stata data fiducia e dopo sei mesi ho potuto iniziare a uscire per andare a lavorare”.

La paura del dopo
Tuttavia il pensiero più grande è per il dopo: “Quello è il pensiero di molti, di tutti coloro che per un motivo o per un altro fuori non hanno nessuno, né una famiglia né una casa ad attenderli, ci si chiede, che ne sarà di me dopo?”.
La paura di Mario era quella di finire in mezzo a una strada, paura che ha condiviso con don Pietro Zardo, cappellano della casa circondariale di Santa Bona. “Non avevo una residenza e dunque ero senza documenti. Io, italiano, ma privo di qualsiasi diritto. Fortunatamente sono stato aiutato, e pian piano ogni tassello è andato al suo posto”. La strada è stata lunga, e l’angoscia di non trovare una soluzione tanta, ma alla fine è arrivata un’opportunità, un posto letto in una comunità di accoglienza per persone che escono dal carcere. Un posto in Casa Varago, il progetto voluto da don Antonio Trevisiol e supportato dalla Caritas tarvisina. Mario è, dunque, uscito dal carcere, e ha trovato un luogo dove mangiare e dormire, un’opportunità per provare a ricominciare: “All’inizio eravamo in tre nella casa, poi sono arrivate anche altre persone, fino a otto. Non è stato facile abituarmi alla vita comunitaria, non sono riuscito subito a integrarmi, ma pian piano le cose hanno funzionato. Ho cominciato a fare dei piccoli lavori per la casa, dalle pulizie alla manutenzione, per rendermi utile, dopo quattro mesi ero pronto per un passo in più, sostenuto da don Saverio Fassina, parroco di Varago”.

Tre obiettivi
Da un primo momento di stabilità nascono, dunque, i tre obiettivi di vita di Mario: la ricerca di un lavoro, la conquista della patente e l’acquisto di un’auto, una casa tutta sua dove vivere.
Mario, senza patente, inizia a girare in bicicletta per le zone industriali, in cerca di un lavoro, poi la svolta grazie a un’agenzia interinale. Dopo cinque mesi Mario trova lavoro a Ponzano. Si alza tutte le mattine alle 5.30 e in bicicletta macina i chilometri necessari a recarsi sul luogo di lavoro. Con grande determinazione inizia a mettere da parte un piccolo gruzzolo, ma il contratto a tempo indeterminato non arriva, e senza la stabilità di un contratto di lavoro è difficile pensare alla realizzazione degli altri obiettivi. Poi, però, si apre un’altra possibilità lavorativa. Questa volta se la prova va bene il posto è a tempo indeterminato, ma è a Musile di Piave, un po’ troppo lontano per arrivarci in bicicletta. Mario tuttavia conosce la nuova realtà di Mosaici di vita, a Musile di Piave, comunità che collabora con Casa Varago e da lì nasce un’opportunità: “Avevo conosciuto i volontari di Mosaici di vita e frequentato la casa con don Saverio nel fine settimana. A loro serviva un custode, e dunque mi sono trasferito lì, non più solo come ospite, ma come volontario. Mi sono preso cura della casa e ho iniziato il mio nuovo lavoro. Dopo tanti sacrifici la mia vita stava iniziando a cambiare radicalmente”. Inizialmente, però, i contratti erano a tempo determinato, e con l’arrivo del Covid, Mario inizia a temere di essere licenziato. Invece proprio in quel momento così difficile e precario per tutti, lui ottiene il posto fisso. E quando riaprono gli uffici, a maggio 2020, è anche ora di fare la patente. “E’ stato davvero difficile, soprattutto la teoria. Alla mia età rimettersi a studiare è stato davvero faticoso, soprattutto non è stato facile conciliare i tempi di studio con quelli di lavoro, ma alla fine ce l’ho fatta, anche se ancora non ci credo”. Ora mancava solo il terzo obiettivo. “Mentre stavo in comunità ho ampliato le mie prospettive - prosegue nel racconto Mario - la vita insieme non è facile, non è facile la convivenza. Piano piano cominciavo a maturare l’esigenza di avere un posto tutto mio, di avere la mia autonomia, una vita dignitosa. E alla fine 8 mesi fa ci sono riuscito, vivo in una casa tutta per me”.

Le relazioni
Ora che Mario ha realizzato i propri obiettivi e vive una vita serena e piena, ha deciso di restituire un po’ della buona sorte e del sostegno che ha ricevuto: “Non mi sono mai arreso, qualunque siano le difficoltà che si devono affrontare la vita va avanti e dunque è necessario reagire. Io ho fatto del mio meglio e ci sono riuscito, ora oltre a lavorare, sono volontario nella comunità e aiuto altre persone che stanno passando per la stessa strada che ho vissuto io. Inoltre porto la mia testimonianza ai ragazzi delle scuole, perché la mia esperienza sia di esempio, vorrei far capire che chi sbaglia può sempre rimettersi in gioco”.
Fondamentali, oltre alla determinazione di Mario, sono state le relazioni. Il sostegno di persone semplici che hanno saputo ascoltare, comprendere e creare sinceri rapporti di fiducia e di amicizia. E aiutare, non con gesti straordinari, ma con ordinaria semplicità ed empatia. “Sono riuscito a costruire una rete sociale che prima non avevo - conclude Mario -, quelle relazioni che sarebbero state tanto importanti anche in carcere e che, invece, in quei momenti difficili mi sono mancate tanto, perché quello di cui si ha bisogno lì dentro è il dialogo, un dialogo senza giudizio. Ora comunque ho messo radici nei luoghi in cui sono stato accolto, ho intrapreso un viaggio per riappacificarmi con il mio passato, ho perdonato, sono sereno e ringrazio i volontari di Varago e Musile per quello che hanno fatto per me”.

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