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Tradizioni antiche: a inizio dicembre sui campi a raccogliere l'"opa", il muschio, per il presepe

Un tempo i bambini, in prossimità delle feste natalizie, si divertivano a raccogliere nei campi il muschio, che i veneti chiamavano "opa", per allestire l'amato presepe nelle loro case. 

23/12/2022

Il Natale di una volta era il tempo della “opa” (con la o chiusa). Che non è  la Opa (con la o larga), cioè l’acronimo finanziario che indica la Offerta pubblica di acquisto. La “opa” è un termine veneto caro agli ultrasessantenni. Che, quando erano bambini, all’approssimarsi delle feste natalizie preparavano il presepe. Rappresentazione scenica, in una società povera, ma intrisa di fede genuina,  fondamentale in ogni casa che viveva ancora la civiltà contadina. “Opa” era, ed è, anche se il termine è desueto, il muschio, ovviamente verde, che cresce nei prati nel periodo invernale.

I bambini, qualche giorno prima di arredare il paesaggio in miniatura che faceva da contorno all’arrivo del Bambinello, raccoglievano ampi stralci di “opa” setacciando i molti prati che macchiavano la pianura. Incuranti delle immancabili “buanse”, i dolorosi tagli e fenditure sulle mani causate dal freddo che i pur grossi guanti sferruzzati dalle mamme nei lunghi filò non riuscivano a riparare adeguatamente. Chi non ricorda i guanti con le dita lasciate scoperte che avvolgevano le arrossate manine degli scolari chini sui banchi di scuola con il “canoto” della penna che scorreva non sempre lineare sulle pagine dei quaderni?

Dopo aver percorso i prati e riempito un cestello con la preziosa “opa”, i bambini correvano a casa, felici anche se infreddoliti, mostrando il loro prezioso raccolto alla mamma. «Doman femo el presepio», rassicurava sorridente la mamma rendendo la fatica dei figlioletti una felicità inappagabile. Era la vigilia del grande giorno della nascita del bambino Gesù. Si scartavano le statuine accantonate l’anno precedente, spesso malandate e rabberciate con la colla composta dalla farina bagnata per appiccicare i frammenti, si sistemava la tavola in un angolo della cucina e, poi, entusiasti si ipotizzava un paesaggio che rifletteva il mondo piccolo della civiltà contadina. Qualche sasso ricoperto da brandelli di “opa” segnava una improbabile montagna, una striscia di bianca farina di granoturco usata per la polenta, ideava le stradine. Il verde terreno della “opa” non poteva che essere l’ideale posto per le pecore brucanti sotto lo sguardo del pastore. In un angolo la divina capanna con i tradizionali  bue e asinello accovacciati a scaldare con il loro fiato la fredda capanna, vigilata dalla Madonna e S. Giuseppe. Qualche presepe si arricchiva, chi poteva permetterselo, della statuina di un soldato irremidiabilmente dal volto arcigno se non anche crudele. 

Non poteva mancare l’acqua tratteggiata con brandelli di carta stagnola. E le luci? Forse quelli che avevano la corrente elettrica, diventata un “lusso” per tutti soltanto nei primi anni Sessanta. Ma se  non c’è un chiarore, che presepe è? Allora si ricorreva a un paio di cartine rossastre, magari involucri di qualche preziosa caramella di cui non era gettato l’involucro avvolgente, che simulavano l’alba o il tramonto. L’entusiasmo e l’inventiva dei bambini erano enormi. Non poteva che essere un presepe da poveri, ma ricco di spiritualità. E poco importava se ce ne erano di più belli in giro. Ogni bambino, nascondendo l’evidente invidia, diceva che il proprio aveva qualche particolare che non si trovava in quello degli amici. Il presepe immerso nella “opa” durava fino alla vigilia dell’Epifania quando, avendoli, si scartocciavano i re magi. Erano passati quasi quindici giorni  cosparsi di immensa letizia che rendeva allegri e sorridenti anche gli uomini che, infreddoliti, rientravano dai lavori campestri. 

Era tornato il tempo di ritornare a scuola e raccontarsi le fatiche della raccolta della “opa”. E per ogni bambino il suo prato era più ricco degli altri. La festa era finita, ma per due settimane l’“opa” aveva rinverdito il presepe le case contadine. Oggi l’“opa” pochi si ricordano che cosa sia. Ed è stata sostituita dalla fredda e insensibile carta plasticata che non sporca. Allora che “opa” è, se  non chiede un po’ di radiosa fatica raccogliendola? Oggi non manca soltanto la “opa”, ma soprattutto non c’è più la genuina e infantile gioia di accogliere il Divino Evento.

[Nel numero di domenica 25 dicembre de "La Vita del Popolo" un ampio fascicolo sui presepi visitabili nel territorio diocesano, e non solo]

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