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Disabilità e scuola, il punto con il prof. Sangalli

“Nell’esperienza dell’inclusione in Italia, che può essere faticosa e pesante, bene o male, riusciamo a portare i bambini dall’infanzia fino alle scuole superiori”. Per questo motivo, molti Paesi ci guardano come modello

In Italia le persone con disabilità sono poco meno di 13 milioni, tra di loro sempre più anziani, ma anche moltissime persone con malattie rare; quasi una persona disabile su tre è a rischio di povertà. Tra 0 e 18 anni, secondo le proiezioni Oms, sono più di 270 mila i giovani con disabilità che necessitano di riabilitazione. Le risorse pubbliche stanziate non sono sufficienti né per una riabilitazione adeguata per tutti, né per una progettualità individuale, spesso mancano le strutture di accoglienza, soprattutto in età adulta, e così i ragazzi diventati adulti restano in carico alle famiglie.

Siamo in una fase di cambiamento e di implementazione della legge delega in materia di disabilità (L. 227/2021) che definisce la condizione di disabilità e introduce l’accomodamento ragionevole; inoltre, riforma le procedure di accertamento e la valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale e personalizzato. Abbiamo dovuto aspettare il d. lgs 62/2024 per l’introduzione di un approccio biopsicosociale e personalizzato nel garantire i diritti e la partecipazione sociale delle persone con disabilità.

Un contributo per riflettere. Nelle scorse settimane, sono usciti i risultati allarmanti di una indagine condotta dal centro studi Erickson, dove emerge che un insegnante su quattro sarebbe favorevole al ritorno delle scuole e delle classi speciali. Un ritorno al passato che fotografa le condizioni dell’inclusione nella scuola italiana.

Per capire a che punto è l’integrazione scolastica e sociale nel nostro Paese abbiamo incontrato, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità (3 dicembre), il prof. Angelo Luigi Sangalli, pedagogista con formazione sugli aspetti neuropsicologici dell’apprendimento e dell’handicap, docente per i corsi di specializzazione per le attività di sostegno dell’Università di Padova: “Nonostante tutto - spiega Sangalli -, il nostro sistema scolastico è maggiormente inclusivo rispetto a quello degli altri Paesi europei”. Sono passati 50 anni dalla riforma Falcucci (1975), quasi 20 dalla convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (2006), e 10 dalla cosiddetta legge sulla “Buona scuola” (L107/2015): “Molta strada è stata fatta in chiave di accessibilità, anche se permangono alcune criticità. Un modello scolastico basato sull’abolizione delle classi speciali e rafforzato dalla legge quadro sui diritti delle persone con disabilità (L. 104/1992), che mira a una didattica più flessibile e alla valorizzazione dell’interazione tra pari, grazie anche alle figure di insegnanti specializzati. L’inclusione – prosegue il professore – è vista come un processo che coinvolge l’intera classe, non solo gli studenti con disabilità o con bisogni educativi speciali e l’intero ambiente scolastico”.

Il modello italiano. In questo processo di evoluzione dell’integrazione scolastica, il modello italiano è studiato e ripreso in diversi Paesi e costituisce un punto di riferimento e confronto, per quanti intendono intraprendere il cammino della piena inclusione.

Sangalli evidenzia come “in alcuni Paesi europei la classificazione diagnostica degli alunni porta ad avere nelle scuole speciali alunni lievi assieme a quelli più o meno gravi con una stessa disfunzione, mentre da noi quelli più lievi probabilmente li avremmo nelle scuole senza neanche il sostegno e seguirebbero il programma scolastico con tutte le fatiche del mondo”. Per questo, aggiunge che, ogni volta che rientra in Italia, da attività svolte all’estero, gli “viene da baciare il suolo italiano” per il livello di integrazione scolastica, anche se “non è sempre facile e l’alunno con disabilità non è ogni volta semplice includerlo, perché ci sono diversi livelli di difficoltà, fattori ambientali e tempi di tenuta al lavoro”.

Quale cammino ancora da fare? “Nell’esperienza dell’inclusione in Italia, che può essere faticosa e pesante, bene o male riusciamo a portare i bambini dall’infanzia fino alle scuole superiori e questo, per la maggior parte dei Paesi, è ancor oggi sconvolgente”. Tuttavia, l’ancoraggio a una visione della disabilità strettamente collegata alla logica delle certificazioni cliniche è tuttora molto forte in Italia. Tale discriminante diventa spesso condizione spartiacque per garantire condizioni di maggiore supporto scolastico a quanti si trovano, per diverse cause, in condizioni di disfunzionamento, nonostante i proclami di avvicinamento alla prospettiva Icf (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute). Con i tagli pubblici al sociale e le scelte normative che affidano a commissioni tecniche dell’Inps la definizione di condizione di disabilità, forte è il rischio che una fascia grigia di bambini, domani adulti, non trovino un adeguato sostegno.

È indubbio che la personalizzazione didattica, in una prospettiva includente e accessibile a tutti, sia la condizione per un modello avanzato di educazione inclusiva e il più possibile piena di integrazione sociale. Per questo, “l’alunno con disabilità in classe dovrebbe essere la decima materia scolastica, in quanto restituzione ai compagni dell’esperienza vissuta”. La presenza “è un bene sociale impagabile, perché questo è educante! È la parte valoriale che nessun’altra disciplina può dare”.

Insegnanti come “artigiani del possibile”. Sangalli sottolinea come sia “l’insegnante che incoraggia, fa la differenza, trasforma la paura in coraggio, la noia in curiosità e l’errore in una chiave verso l’apprendimento. Occorre far riferimento alle emozioni antagoniste e per questo è importante l’alleanza educativa con i colleghi insegnanti, con la famiglia. Il maestro gioioso, sorridente, che usa parole non percepite come ostili o frustranti per il bambino fa la differenza tra ciò che un bambino può fare da solo e ciò che può fare se sostenuto bene. È importante il supporto alle famiglie, specie quando si incontra la sofferenza umana, perché non tutte hanno la stessa forza o le stesse risorse”. Questa differenza trova casa, poi, nei successi dei percorsi scolastici degli alunni che presentano dei bisogni educativi speciali. Per preparare nuovi “artigiani del possibile” risulta cruciale la preparazione degli insegnanti attraverso corsi universitari di specializzazione alle attività di sostegno.

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