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San Zenone: Francesco Rebesco scultore “europeo”
Leggere oggi Francesco Rebesco, lo scultore sanzenonese scomparso quarant’anni fa, rivela un’originalità inattesa. A prima vista, con un passaggio semplicistico, si potrebbe annoverare tra i tanti discepoli di J.J. Winkelmann, ovvero della riscoperta del classico, della nitidezza e della naturalità eterna, rafforzata dalla lezione originale e piena di Antonio Canova. Eppure, guardando anche a opere semplici come L’acquaiolo e Il bambino con lo zufolo, non si può fare a meno di cogliere l’altro polo della sua poetica di scultore, ovvero la velocità e il movimento. Il professor Vittorio Caracuta, nella conferenza organizzata nella sala consiliare dai nipoti di Rebesco, lo scorso 12 dicembre, l’ha sintetizzata in tre parole: movimento, calma e compostezza. Ha portato come esempi la Vittoria alata, nella Caserma Montegrappa a Bassano, e il monumento ai caduti a San Martino di Lupari.
Ancora da capire la complessità di un autore non studiato a fondo, forse perché finora nessun grande critico lo ha incrociato, o forse per la sua collocazione periferica. Sì, perché Francesco non ha mai realmente abbandonato via Pozzorotto, la casa del padre Antonio e della madre Maria Perizzolo, dove è cresciuto e ha maturato la sua arte. Un luogo che il professor Caracuta ha definito uno “snodo magico”, dove la fascinazione del territorio si unisce, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, a incontri straordinari. Nella stessa via risiederà dal 1913 Noè Bordignon, autore celebrato per le sue qualità di affrescatore e pittore, autore di un celeberrimo Giudizio universale presente nella parrocchiale di San Zenone, in cui è impossibile non cogliere le novità del Verismo e del Naturalismo che stavano profondamente rinnovando l’arte in Italia e in Europa.
Il giovanissimo Francesco viene incoraggiato da Noè Bordignon e da Serafino Ramazzotti, che lo introdurrà all’arte scultorea, tanto che a 16 anni produce già il busto dei suoi genitori. Nello stesso periodo, conosce anche Luigi Nono, pittore, scrittore e animatore del dibattito artistico veneziano, e Alessandro Milesi: un sodalizio che si è formato a San Zenone sicuramente per la particolarità del luogo e per la possibilità di sviluppare la pittura en plein air. Questo piccolo paese diventa crocevia delle energie che in Europa stavano sviluppando le avanguardie. Rebesco, in particolare, stringe amicizia con Teodoro Wolf Ferrari, vicino all’ambiente di Die Scholle (La zolla) e alla sensibilità mitteleuropea tra Secessione e primo Espressionismo: un sodalizio che, alla fine, lo porterà a prendersi cura di questo artista, tanto da occuparsi lui stesso della tumulazione dell’amico nel cimitero di San Michele a Venezia.
Ma non si ferma qui lo sviluppo del pensiero artistico di Rebesco. Quando, nel 1922, riesce a completare gli studi, entrando all’Accademia d’arte Beato Angelico di Milano: conosce Medardo Rosso, e viene a contatto con le idee del Futurismo, movimento che celebrava lo slancio vitalistico e la velocità. C’è ancora molto da capire di quello “snodo magico” che si è realizzato a San Zenone e a cui le dinamiche artistiche italiane ed europee forse debbono molto.



