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Pfas, sentenza storica: giustizia per il popolo inquinato

11 persone sono state condannate nel maxi processo Miteni da 2 a 17 anni di carcere per inquinamento da Pfas nel vicentino. Si conclude così, a 12 anni dalla scoperta e dopo 4 anni di 130 udienze, uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale di sempre in Italia
27/06/2025

Il 26 giugno attorno alle 15.30 del pomeriggio dal tribunale di Vicenza è arrivata quella che possiamo già definire a ragione “una sentenza storica”: 11 persone sono state condannate nel maxi processo Miteni da 2 a 17 anni di carcere per inquinamento da Pfas nel vicentino. Si conclude così, a 12 anni dalla scoperta e dopo 4 anni di 130 udienze, uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale di sempre in Italia. Oltre 300 le parti civili (enti quali la Regione del Veneto e i 30 comuni della “zona rossa”, le aziende sanitarie ma anche tante associazioni locali e nazionali come Legambiente), alle quali spetterà un risarcimento; tra queste anche il Ministero dell’Ambiente, che riceverà 58 milioni di euro.

Pfas, cosa sono?

I Pfas, ovvero le sostanze perfluoralchiliche (tra cui anche Pfoa e Pfos), sono utilizzati in campo industriale per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi e impiegati su vasta scala (in tessuti, tappeti, pelli, schiume antincendio, contenitori per alimenti e detersivi); sono definiti “forever chemicals” perché tendono ad accumularsi e a permanere a lungo negli esseri viventi (umani compresi), ai quali ad alte concentrazioni causano patologie e decessi prematuri, tra cui ad esempio tumore al rene e al testicolo, malattie funzionali della tiroide, ritardi della crescita, maggiore incidenza di cardiopatie, diabete e patologie cerebrovascolari. La sentenza di oggi a Vicenza è storica, ma nel frattempo i Pfas vengono riscontrati anche in altri corsi d’acqua del Veneto, come certificano Arpav e Legambiente Veneto, e non devono mai smettere di destare preoccupazione.

La vicenda, in breve

Un’azienda storica, fondata nel 1965 come centro di ricerca di un’azienda tessile, rilevata nel 1988 da EniChem e Mitsubishi, infine nel 2009 passata di proprietà all’International chemical investors group (Icig). Nel 2011 i primi allarmi: nelle acque di scarico nei pressi dell’azienda vengono rilevate da dei ricercatori concentrazioni di Pfas mai trovate altrove così alte. Pressate dalle associazioni locali, tra il 2015 e il 2016 le autorità avviano un bio monitoraggio a campione, i cui esiti (presenza di Pfas nel sangue fino a tre volte oltre la soglia di pericolo) spingono il Consiglio dei ministri a dichiarare a marzo 2018 lo stato di emergenza, con il divieto di consumo di acqua potabile, e l’istituzione di una zona rossa in 30 comuni vicentini; pochi mesi dopo, si dichiara il fallimento della società. Il processo tuttavia non viene aperto prima di aprile 2021.

La sentenza

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Avvelenamento, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta i reati riconosciuti dai giudici, e confermata la natura dolosa degli stessi. La condanna è arrivata, pesantissima, su 11 manager ed ex manager di Miteni spa, di Mitsubishi Corporation e del fondo di investimento Icig, da 2 fino a 17 anni di carcere. Insomma, i dirigenti coinvolti, come si suol dire, non potevano non sapere di essere protagonisti e autorizzatori di uno dei disastri ambientali più grandi che il Veneto abbia mai conosciuto. E anzi, come testimoniato dalle indagini del Noe di Treviso, lo sapevano fin dagli anni Novanta. Oltre a pene e risarcimenti milionari, è stata prevista la confisca per equivalente e il ripristino dei luoghi, come previsto dal codice penale dopo l’approvazione della legge sugli ecoreati del 2015. Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, infatti, sempre in questi giorni è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso.

Il commento di Legambiente

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Legambiente, una delle parti civili coinvolte nel processo, dal 2014 in prima linea con il suo circolo locale Legambiente Perla Blu, esulta. Ma non è finita qui. Il presidente nazionale Stefano Ciafani e il presidente veneto Luigi Lazzaro aggiungono: “Ci auguriamo che la sentenza di oggi possa essere un monito ed una spinta ulteriore a rispettare quanto previsto per la bonifica del sito produttivo e ad accelerare l’applicazione di soluzioni anche per il disinquinamento delle acque di falda contaminate. Per affrontare in maniera adeguata l’emergenza PFAS risulta sempre più urgente, anche alla luce della sentenza odierna, lo sviluppo da parte di Governo e Regione di alcuni necessari interventi per una compiuta analisi e stima dello stato di salute dei cittadini, della contaminazione esistente e dell’impatto che l’esposizione ai PFAS ha generato nella popolazione. Tra questi risulta prioritaria la prevenzione da eventuali nuovi fenomeni di contaminazione, attraverso l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia nei procedimenti in itinere, come da proposta dei Consigli di bacino ex art. 94 del decreto legislativo 152/2006 al fine di garantire che la compromissione della falda esistente e fenomeni ulteriori di inquinamento da PFAS dei punti di approvvigionamento idrico in Veneto non si ripetano, facendo memoria della tragica e costosa esperienze del passato”.

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