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VIVERE LA SETTIMANA SANTA. Come cambia il sacramento della Riconciliazione in questo tempo

L’attuale situazione determinata dalla diffusione del contagio del coronavirus rende complessa anche per il singolo fedele la possibilità di celebrare il sacramento della riconciliazione. La Penitenzieria apostolica ha ricordato che, se la via normale rimane sempre la confessione e l’assoluzione sacramentale, tuttavia in alcune circostanze eccezionali ne esiste una straordinaria. Una via che per essere percorsa richiede sostanzialmente due passi: la contrizione perfetta e l’impegno a confessarsi da un sacerdote appena sarà possibile.

L’attuale situazione determinata dalla diffusione del contagio del coronavirus rende complessa anche per il singolo fedele la possibilità di celebrare il sacramento della riconciliazione. Sarà, quindi, impossibile ricevere il perdono dei propri peccati e la riconciliazione con la Chiesa?

E’ proprio a partire da questa domanda, che la Penitenzieria apostolica ha ricordato che, se la via normale rimane sempre la confessione e l’assoluzione sacramentale, tuttavia in alcune circostanze eccezionali ne esiste una straordinaria. Una via che per essere percorsa richiede sostanzialmente due passi: la contrizione perfetta e l’impegno a confessarsi da un sacerdote appena sarà possibile. Non si tratta di una novità escogitata per l’attuale situazione: tale via di riconciliazione ha sempre fatto parte della dottrina della Chiesa, come è ricordato nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1452). Papa Francesco in un’omelia ha spiegato: “Se tu non trovi un sacerdote per confessarti, parla con Dio, è tuo Padre, e digli la verità: «Signore ho combinato questo, questo, questo… Scusami», e chiedigli perdono con tutto il cuore, con l’Atto di Dolore e promettigli: «Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso»”.

La contrizione perfetta. Che cos’è la contrizione? E in che cosa consiste la perfezione richiesta? La parola “contrizione” richiama l’idea di un cuore addolorato, “frantumato”, per il male commesso.

Per rispondere meglio, però, a questa domanda, possiamo richiamare alla memoria (o meglio ancora, rileggere e meditare) la parabola del Padre misericordioso (o del figliol prodigo, cfr. Vangelo di Luca 15, 11-32) che noi tutti conosciamo.

Il figlio minore abbandona la casa paterna perché non ha più fiducia nel padre, anzi lo vede come un padrone, e ritiene di poter vivere senza il suo amore. Quando si ritrova a portare il peso e le conseguenze del suo abbandono - ci dice la parabola - rientra in se stesso, vede come si è ridotto e inizia a pensare a come fosse meglio la vita nella casa paterna. Decide, quindi, di ritornare, ma ritorna per non morire di fame, ritorna perché si rende conto di aver sbagliato, ritorna sentendosi umiliato, con il peso - diremo noi oggi - di un senso di colpa che lo accusa. Comprendiamo bene come egli sia addolorato, ma il suo dolore è il dolore di chi è ancora centrato su se stesso e sulle sue paure: la paura di morire di fame e la paura di non essere più amato; ha ancora paura del padre, che per lui rimane sempre un “padrone”, tanto che decide lui stesso di ritornare come servo, non credendo più nella possibilità di essere riaccolto come figlio.

Quello che vive in questa prima fase il figlio prodigo si chiama contrizione imperfetta, quella che - secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica - nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore di essere puniti.

Mentre è sulla via del ritorno, «quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò»; il figlio non riesce nemmeno a finire la sua confessione, perché il padre vuole rivestirlo e fare festa per il suo ritorno; in quel momento, nell’abbraccio, nella gioia che il padre manifesta, il figlio percepisce quanto il padre gli volesse bene, da sempre, vede quell’amore che lui non aveva immaginato quando pensava di ritornare e che non è stato scalfito dalla sua ribellione, vede che il padre è… semplicemente suo padre. Solo in quel momento capisce la vera natura del suo peccato, nel mancato riconoscimento dell’amore del padre per lui, quell’amore dal quale si lascia rivestire (“il vestito più bello”). E’ in quel momento che il suo dolore, allora, si trasforma e diventa dolore per non aver capito chi fosse veramente il padre, per averne rifiutato l’amore e aver sospettato di esso, per non averci creduto. E questo lo porta a essere «morto […] tornato in vita». Questa è la contrizione perfetta; perfetta, ossia “che giunge a compimento” nel riconoscere con gratitudine che Dio è Padre, che io sono un figlio sempre amato e che il peccato non è mai solo “qualcosa di sbagliato”, ma anche e soprattutto la ferita della relazione filiale tra me e Dio, il rifiuto di vivere da figlio e da fratello.

La parabola ci fa capire come il figlio abbia potuto compiere questo passo grazie all’abbraccio del padre; questa “contrizione”, allora, è un dono da chiedere allo Spirito Santo, perché, anche attraverso la memoria del battesimo che ci ha resi figli del Padre, ci sia dato di vedere la nostra vita - e anche i nostri peccati - dentro il mistero dell’amore di Dio.

Il proposito di confessarsi appena possibile. Perché allora confessarsi successivamente? La risposta a questa domanda meriterebbe una riflessione più approfondita, sulla quale si potrà ritornare in seguito. Per il momento, è sufficiente ricordare che questa “contrizione” porta anche con sé il desiderio di “aprirsi” senza paura; confessarsi quanto prima, allora, è volere con l’aiuto della Chiesa che la radice di quel mio peccato - che io riconosco perdonato - venga strappata dal segreto del mio cuore, non mi chiuda in me stesso.

Come nella parabola, così anche nella vita cristiana, il ritorno al Padre è anche il ritorno a casa, dove avviene nella festa preparata dai servi: è la dimensione ecclesiale del sacramento della riconciliazione (resa presente nella persona del sacerdote), perché ogni peccato non è mai una “questione” tra me e Dio solo, ma ferisce anche la comunione con i fratelli. La Chiesa rimane sempre l’ambiente vitale in cui poter fare esperienza della mia vita realmente accolta. 

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