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Di fronte alla malattia cerchiamo "esperti in umanità"

Le tue parole siano dolci, piacevoli, virtuose, sincere, utili, moderate, atte a creare nel malato uno stato di fiducia”. Così si trova scritto in un antico testo di medicina ayurvedica indiana del 1500 a.C. Un’indicazione che vale per qualsiasi relazione, in particolare con chi vive un tempo di fragilità fisica, psicologica o spirituale.

Le tue parole siano dolci, piacevoli, virtuose, sincere, utili, moderate, atte a creare nel malato uno stato di fiducia”. Così si trova scritto in un antico testo di medicina ayurvedica indiana del 1500 a.C. Un’indicazione che vale per qualsiasi relazione, in particolare con chi vive un tempo di fragilità fisica, psicologica o spirituale. Il tempo di pandemia che l’umanità intera sta attraversando chiede una maggior capacità di parole che sappiamo iniettare fiducia e speranza. Ciò non significa nascondere la serietà del problema; ma come per ogni situazione difficile e sofferta non sarà la sola denuncia del male, e la durezza nel modo di trattarlo, che porterà sollievo e soluzione. Il medico “di fiducia” è colui che prima di trattare la malattia sa trattare il malato. Lo ricordava Ippocrate: “Sapere che tipo di persona ha una determinata malattia conta di più che sapere quale tipo di malattia ha quella persona”. Non bastano perciò, oggi, esperti virologi, ma si cercano esperti in umanità, capaci di inoculare una speranza più grande, un senso più vero della vita. Non cerchiamo però persone “carismatiche”. Tutti siamo chiamati ad essere operatori di fiducia e di speranza.

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