giovedì, 26 giugno 2025
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Carcere: la risposta del Vescovo alla lettera scritta dai detenuti di Santa Bona

“È a partire dal legno della Croce che possono dipanarsi percorsi di incontro, di ascolto, di riparazione, di riconciliazione, di speranza concreta e quotidiana”, scrive mons. Tomasi, che invita la Diocesi, in questo anno giubilare, a trovare questi spazi per “un vero reinserimento nella società. Se riusciremo in questo sforzo, verrà giovamento a tutta la comunità, che vedrà nascere anche dal fallimento e dalla colpa frutti di rigenerazione”

Cari fratelli che siete “la piccola chiesa in carcere, in un cammino di consapevolezza e responsabilità, che parte dal pentimento e prova a rinascere e ricostruire esistenze”: nello Spirito del Signore Crocifisso e Risorto, che fascia le piaghe dei cuori spezzati, proclama la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri, salute, pace e grazia a voi tutti.

Ho letto con attenzione, riconoscenza e consolazione del cuore la lettera che avete inviato ai fratelli e alle sorelle della Diocesi di Treviso, di cui fate parte, anche se reclusi in carcere. Vi ringrazio per aver condiviso con noi tutti le vostre difficoltà, la vostra trepidazione, le vostre aspettative e soprattutto la vostra speranza.

L’anno giubilare - questo tempo di grazia del Signore - mostra la sua forza anche grazie alle vostre parole, perché in esse risuona chiaro, semplice e forte, il senso profondo del farsi pellegrini verso la speranza. Ci chiedete di non venire dimenticati, ci chiedete di osare di riconoscerci viandanti sullo stesso cammino, anche se ci dividono mura di separazione e di pregiudizio, di diffidenza e di paura, apparentemente in modo definitivo e netto. Ci chiedete di riconoscere la vostra presenza nel cuore delle nostre comunità. Con il vostro appello volete aiutarci a non essere indifferenti, ad assumerci il rischio di vedervi e di ascoltarvi.

Non negate responsabilità e colpe; ci date una testimonianza di percorsi impegnativi e lunghi di presa di coscienza del male commesso, e di assunzione di responsabilità. Si tratta, fin dove possibile, di rimediare al male commesso, di percorrere vie esigenti di riconciliazione, di coinvolgere la comunità intera per ritessere reti di relazioni che possano permettere nuova fiducia, all’inizio magari flebile e provvisoria, ma – con l’aiuto di molti – con il tempo sempre più solida e sostenibile.

Ci chiedete di dare spazio concreto alla fragilità della condizione umana, di prendervi sul serio come persone, partendo dal vostro impegno a prendere sul serio le persone colpite e ferite da comportamenti sbagliati, da scelte colpevoli.

In questo cammino di scoperta di tutti i volti implicati nelle storie della vita, nell’ascolto dello Spirito che parla nel profondo della vostra e della nostra umanità – ascolto difficile, perché chiede di fare i conti anche con le tenebre e le contraddizioni del cuore - ci testimoniate che è possibile scoprire sempre di nuovo il volto di Cristo, la bellezza della sua proposta, la verità sull’esistenza che deriva dall’ascolto senza ostacoli del suo Vangelo. Guardando a Lui, e solamente guardando a Lui, scoprite e ci annunciate la possibilità di attingere senza merito e senza pretesa alcuna alla misericordia che scaturisce dalla Croce stessa di Cristo.

Aprendo la Porta santa nella casa circondariale romana di Rebibbia, papa Francesco aveva fatto riferimento con parole accorate, all’immagine della speranza come di un’àncora, alla quale possiamo rimanere saldamente aggrappati, e che è fissata in Cristo Signore. Così aveva parlato: “A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma (cfr Eb 6,17-20). Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani..., ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti”.

C’è davvero sempre qualcosa di buono, sempre possiamo e dobbiamo fare la fatica di aggrapparci a quella corda. Alle volte, certo, ci taglia le mani, ma ci permette sempre di continuare a rialzarci, stare in piedi e camminare.

Anche qui in vescovado vi è un’immagine affrescata della speranza che tiene in mano l’àncora. La vedo spesso, passandoci davanti. E mi viene da pensare che quell’àncora deve portare il peso e la tensione di tante fatiche e contraddizioni nelle nostre società e comunità, perché il male subito, il male compiuto, il male incontrato quotidianamente sembra spesso prendere il sopravvento, e sembra quasi necessario accettare che ci possa essere spazio solamente per il risentimento, la rivendicazione, la vendetta.

Ma quell’àncora non è altro che la Croce di Cristo. Segno di apparente sconfitta, ma strumento definitivo di vittoria sul male e sulla morte.

È a partire dal legno della Croce che possono dipanarsi percorsi di incontro, di ascolto, di riparazione, di riconciliazione, di speranza concreta e quotidiana.

È dalla contemplazione della Croce che nasce l’impegno dei volontari e degli operatori che non si rassegnano a porte serrate e a chiavi buttate, ma che ostinatamente cercano spiragli di luce, pertugi di incontro, germogli di speranza.

È la forza della Croce che anima la costante fedele perseveranza di quanti sono impegnati nella Cappellania del carcere, e che non rinunciano a essere presenti per portare l’annuncio operante e fattivo del Vangelo di Cristo, l’annuncio che il bene può sempre vincere sul male, così come in Cristo l’amore di Dio ha vinto la morte.

È dalla speranza della Croce che può ripartire l’opera quotidiana di quanti, in molti modi, prestano la loro opera professionale nella gestione della vita carceraria, e che si impegnano, in condizioni spesso difficili, a garantire giustizia e rispetto della dignità di ogni persona.

È ai piedi della Croce che può risuonare la voce di amore e di consolazione di Cristo per coloro che sono vittime di male e di violenza, perché non si sentano soli e abbandonati, e ritrovino una sorgente sicura di speranza nel futuro.

È nella saldezza della Croce che trovano aiuto e sostegno le vostre famiglie, che hanno bisogno della vostra presenza, e che scontano il peso di una lontananza spesso difficile da affrontare.

È accanto alla Croce di Cristo, sulla croce del buon ladrone, che voi intuite di poter trovare le fonti della vostra speranza. Riprendo le vostre parole, che accolgo come una preghiera: “Un’altra figura ci ritorna alla mente: il buon ladrone che dopo una vita disastrosa riceve lo sguardo misericordioso di Gesù proprio sulla croce accanto a Lui. Preghiamo insieme, affinché questo Sguardo non ci abbandoni mai, e perché possiamo sentire e accogliere che in Dio nessuna vita è perduta, che ai Suoi occhi siamo tutti importanti e che Lui ci ama senza condizioni. È sotto la forza di questa Misericordia ricevuta che inizia il cammino del pentimento e anche del desiderio di riparare”.

Facciamo tutti nostra questa preghiera, dentro e fuori del carcere.

Accogliamo tutti la nostra personale fragilità.

Cerchiamo insieme le ragioni di una speranza quotidiana e troviamo insieme la direzione in cui possano muoversi i nostri passi, per ritessere sempre di nuovo legami di comunità.

In occasione di alcune visite in carcere, mi avete aperto il vostro cuore, e mi avete espresso i vostri bisogni, come avete fatto in questa vostra lettera. Voi percepite urgente, allora come ora, la presenza di “luoghi dove poter essere accolti, ascoltati e aiutati in un percorso di un vero reinserimento nella società”.

Nell’anno giubilare, condivido con voi e con la Diocesi l’impegno a trovare spazi di questo tipo, per venire incontro in modo ordinato e sostenibile a questa necessità. Se riusciremo in questo sforzo, verrà giovamento a tutta la comunità, che vedrà nascere anche dal fallimento e dalla colpa, frutti di rigenerazione.

La Cappellania del carcere e la Caritas diocesana ci aiuteranno a coordinare le disponibilità che nasceranno in Diocesi.

Sarà, credo, un contributo a diffondere quella pace di Cristo che parte cambiando i cuori e giunge fino a mutare le strutture della nostra vita associata.

Sarà un passo importante, frutto della “pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente”.

Questo è stato l’augurio di papa Leone XIV il giorno della sua elezione, questo sia per noi un frutto della grazia del Giubileo della speranza, questo sia un passo da percorrere insieme, nella luce del Risorto.

Qui si può trovare la lettera scritta dai detenuti ai fedeli della Diocesi

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10/04/2025

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