giovedì, 10 luglio 2025
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La pace è nelle nostre mani

L’incontro internazionale, organizzato a Venezia dall’associazione “Missione Shahbaz Bhatti”, ha messo in luce il valore dell’impegno quotidiano delle istituzioni locali e internazionali, e di ciascuno di noi, per la costruzione di un mondo di pace, a partire dal dialogo tra le religioni. In calce, l’intervento del vescovo Tomasi

Sta crescendo e affiora ogni giorno di più il grido sommesso, nelle coscienze, nei cuori di molti: “Ricostruiamo la pace!”. Questo anelito si è sentito forte, sabato 5 luglio, durante l’incontro internazionale: “The challengers to the world peace today” - Le sfide alla pace nel mondo oggi, promosso da “Missione Shahbaz Bhatti aps”, con la partecipazione di leader religiosi, politici e attivisti umanitari d’Italia e del Pakistan, alla Scuola Grande di San Teodoro a Venezia.

L’incontro si è snodato attraverso tre sessioni di interventi di autorevoli personalità religiose appartenenti a diverse confessioni: cattolici, musulmani, protestanti, sikh, per testimoniare, sullo sfondo dell’attualità dell’opera di Shahbaz Bhatti, martire cattolico pakistano, che ha speso la sua vita in favore del dialogo interreligioso, l’urgenza di una presa di responsabilità dei credenti di ogni fede, che dia voce e forza al motto: “Si vis pacem, para pacem”, “se vuoi la pace, prepara la pace”.

Tre focus

Tre sono stati i focus nel corso della giornata veneziana: la prima sessione su “Strategie per costruire la pace: il ruolo delle religioni e della politica”, la seconda sul tema del “Diritto internazionale: terreno comune per prevenire i conflitti” e nella terza “Rischi di guerra nucleare: tensione tra Pakistan e India”, altro fronte bellico riaperto di recente e al momento più sospeso che veramente risolto.

I relatori

Hanno offerto il loro contributo: il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, che ha dato il benvenuto agli ospiti nella città di Venezia, che, per storia e per vocazione, è “città di incontri e di scambi”, ricordando come la pace nasca dal cuore dell’uomo, un cuore umile e purificato, “risultato di un lavoro spirituale, etico, costante, prolungato, condiviso a diversi livelli: educativo, sociale, politico”; la prof. Valeria Martano, esponente della Comunità di Sant’Egidio e consultrice del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso; il dott. Massimiliano Tubani, direttore dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”; il ministro federale degli Affari religiosi del Pakistan, Sardar Mohammad Yousaf; l’imam della Royal Mosque and Chairman Mulana Khabir Azad; il prof. Mirko Sossai, docente di Diritto internazionale; il presidente dell’Azione cattolica italiana, Giuseppe Notarstefano; il cardinale pakistano Joseph Couttes, arcivescovo metropolita emerito di Karachi; il nostro vescovo, mons. Michele Tomasi, e i vescovi di Piacenza - Bobbio, mons. Adriano Cevolotto, e di Vicenza, mons. Giuliano Brugnotto (le tre diocesi, insieme a quella di Venezia e ad altre, sono socie, o sostengono l’associazione Bhatti); mons. Humphrey Peter, vescovo di Peshawar; l’onorevole Syed Yousaf Raza Gilani, presidente del Senato pakistano, già Primo ministro; il dott. Paul Jacob Bhatti, presidente della “Missione Shahbaz Bhatti”; il prof. Antonio Silvio Calò, direttore della “Fondazione Venezia per la pace”; il prof. Francesco D’Alfonso, direttore della Caritas di Belluno e vicepresidente dell’associazione Bhatti; il prof. Shaid Mobeen, docente di Filosofia all’Università Urbaniana di Roma.

Il lungo elenco, lungi dall’esprimere prolissità, rappresenta non soltanto la consistenza e l’universalità dell’anelito alla pace, che sta premendo dall’interno la coscienza della società religiosa, civile, politica, ma anche e soprattutto la determinazione da parte di uomini e donne di buona volontà (maggioranza silenziosa, ma non silente) a contrastare con convinzione, nella quotidianità del vivere, mediante la “forza debole” dei valori di giustizia, verità, fratellanza, la deriva apparentemente inarrestabile della violenza disumana della guerra e della strage di innocenti che ogni giorno occupano le cronache mondiali.

Le strade per un “artigianato della pace”

Durante l’incontro, sono state evocate diverse strade concrete per la composizione dei conflitti, che costituiscono un vero e proprio “artigianato della pace”: dall’arbitrato internazionale all’approccio multilaterale nelle azioni diplomatiche, dalla sinergia fra politica e religioni alla “human fraternity” di Francesco, dalla possibile ridefinizione delle Istituzioni internazionali (Onu in testa) all’intensificazione dei corridoi umanitari, specie in favore delle popolazioni maggiormente bersagliate dalle guerre in atto. I relatori hanno citato numerosi testi del magistero cattolico e delle altre religioni: dalla Pacem in Terris del santo papa Giovanni XXIII, alla Fratelli Tutti di Francesco, passando per la Gaudium et Spes del Vaticano II e i riferimenti al Corano, dallo “Spirito di Assisi” del santo papa Giovanni Paolo II alle Carte costituzionali di Italia e Pakistan, quasi ad evidenziare che è maturo il tempo, per i credenti di ogni fede, e per tutte le donne e gli uomini di buona volontà, di testimoniare con coraggio parole e gesti, comportamenti di amore e di dialogo che costituiranno l’argine all’odio e alla prepotenza imperanti.

“Agire” la pace a partire dai Diritti umani

Il leitmotiv degli interventi: “La pace scaturisce dalla responsabilità agita di ognuno e si irradia per simpatia ad ogni cellula dell’umanità” infonde grande speranza in questo tempo giubilare e costituisce la parola d’ordine capace di motivare i singoli e le comunità attorno al Vangelo della Resurrezione, di Gesù che si rende presente con il saluto: “La Pace sia con voi... Vi lascio la Pace, vi do la mia Pace”.

Nell’esposizione e nella condivisione di questa abbondanza di contenuti antropologici, teologici, filosofici, etici si è percepito chiaramente il bisogno di agire concretamente la pace, di purificare la nostra storia, di ricostruire capillarmente il tessuto dei Diritti umani universali che sono il fondamento della convivenza tra i popoli.

La sfida è dunque in atto. Da Venezia, avamposto del Mediterraneo, crocevia di dialogo con il mondo, terra di pace, come si evince dal motto sul leone alato, emblema del suo patrono, san Marco (“Pax tibi, Marce, evangelista meus”), ricordato dal patriarca Moraglia, si irradia la convinzione che, se saremo latori di una pace incarnata, vissuta, donata e non contrattata, centrata sull’ascolto della persona dell’altro, delle sue gioie, speranze, tristezze e angosce vedremo di nuovo fiorire il deserto dell’umanità disincantata e disincarnata di oggi, e avremo tesori da lasciare alle generazioni a venire. (Pieraugusto De Pin)

L’INTERVENTO DI MONS. TOMASI

“Riconoscerci fratelli per essere ponti di pace”

“Oggi abbiamo elaborato strategie per costruire la pace e individuare il ruolo delle religioni e della politica? No. Oggi, però, abbiamo sperimentato che esiste nel mondo una piccola qualificata folla di persone che, anche in ruoli importanti della vita sociale, politica, economica, religiosa delle varie Nazioni, stanno scommettendo sulla possibilità della pace. Addirittura, sul fatto che la pace non sia un ideale lontano, ma una reale necessità oggi, e che ci sia la possibilità di realizzarla attraverso le relazioni, attraverso l’amicizia, la conoscenza reciproca, attraverso quel rapporto con la verità, in cui ci riconosciamo reciprocamente, pur con tutte le difficoltà, le crepe e i rischi che ci sono, perché la violenza seminata è così tanta che i nostri cuori sono intossicati”: così il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, intervenuto all’incontro a Venezia promosso dall’associazione “Missione Shahbaz Bhatti” lo scorso 5 luglio. Il fondamento necessario, però - ha ribadito -, è che le comunità religiose, tutte, diventino pienamente se stesse, contribuendo a vivere e a costruire la pace.

“Nel recente saluto - ha aggiunto il Vescovo - che papa Leone ha fatto all’incontro con i rappresentanti di altre Chiese, comunità ecclesiali e altre religioni, il 19 maggio, ha ricordato che, se saremo concordi e liberi da condizionamenti ideologici e politici, potremo essere efficaci nel dire no alla guerra, agli armamenti, all’economia che impoverisce, e sì alla pace, a un disarmo vero, allo sviluppo integrale. Dobbiamo purificare la nostra storia. Dobbiamo capire quanto forte è il nostro desiderio di testimoniare la fede, quanto importante per noi è lottare fino al martirio per la dignità umana e per la fraternità e quanto siamo disposti a donare noi stessi perché verità, giustizia, pace possano camminare insieme”. Una testimonianza di questo impegno è quanto l’associazione Bhatti sta facendo in Pakistan, soprattutto a favore delle persone più deboli: “Quando noi sosteniamo questo impegno, aiutiamo la pacificazione in Pakistan, e ci aiutiamo, tutti, a essere più umani e, forse, ci riconosceremo fratelli e potremo essere ponti di pace”.

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