martedì, 06 maggio 2025
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"Annetta": monologo teatrale su santa Bertilla interpretato da Michela Cescon

Sabato 22 ottobre, nella chiesa di San Francesco a Treviso, l'attrice porta in scena un pezzo teatrale che racconta la semplicità e pienezza di santa Bertilla Boscardin, di cui quest'anno ricorrono i cento anni dalla morte. "Sono molto legata alle suore dell'Oasi, mamma mi ha sempre portato lì". 

E’ un omaggio da donna e da artista, ma soprattutto da trevigiana e da figlia, quello che Michela Cescon, attrice e regista, farà sabato 22 ottobre a santa Bertilla Boscardin. Nel calendario delle iniziative per il centenario della morte della suora dorotea che visse a Treviso, infatti, spicca il monologo «Annetta» - Incanto per voce sola con Michela Cescon su testo di Fiorella Colomberotto. Nella chiesa di San Francesco, alle 21, l’artista proverà a dare uno spessore particolare a questa giovane donna, suora, infermiera, diventata santa.

Michela Cescon è nata a Treviso 51 anni fa, vive a Roma, è sposata e madre di tre figli. Diplomata alla Scuola Teatro Stabile di Torino di Luca Ronconi, da diversi anni è apprezzata interprete per il teatro e il cinema (nel 2012 vince il David di Donatello come migliore attrice non protagonista in “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana), e da qualche tempo si dedica alla regia, sia cinematografica che teatrale.

Come ha accolto la proposta di interpretare il testo?

Io sono molto legata alle suore dell’Oasi, perché mia mamma mi ha sempre portata lì. Anche adesso, quando torno a casa, ci andiamo insieme. L’oasi è un luogo che mi piace molto, con la piazza e l’acqua vicine; e poi la stanzetta di Bertilla, sono molto legata a quella cameretta semplice, spoglia. E’ un regalo che faccio a loro, alle suore Dorotee e a mia mamma Lucia, che mi ha donato questo legame con un posto speciale e con Bertilla. Ho accettato subito volentieri la proposta questa primavera, pensavo a una cosa molto semplice, ma poi è arrivata la collaborazione con Fiorella Colomberotto, che ha scritto un bellissimo testo.

Che cosa l’ha colpita di Bertilla?

Lei è incredibile. Ha un modo semplice di fare le cose, vive una scelta estrema, di rinuncia a sé per essere tutta per gli altri. Una figura in bilico tra ciò che è accettabile e ciò che è eccessivo: è questo il grande salto mortale da fare con lei, nel suo “tutto è niente”, quel tutto è “pieno”, quasi eccessivo. Sceglie di annullarsi con una forza enorme, direi da grande protagonista. E dietro a una scelta così importante non può esserci qualcosa di... piccolo. 

Quale chiave di lettura della vita di Bertilla viene usata nel testo?

Io non interpreto lei, in alcuni momenti le parole possono essere di Bertilla, in altri passaggi ci sono riflessioni su cos’è la santità, cos’è l’eroismo. Il testo è pieno di cambi di tono. Lei secondo me è un eroe donna. Voleva essere una santa, ma dentro la sua esistenza c’è una potenza da eroe, un po’ epica. Cerco di “togliere” un po’ la parte religiosa - anche se lei è questo, è la sua vita - dando  spessore a quella parte umana ed eroica allo stesso tempo che mi ha colpita. Spero di riuscirci, credo che meriti lo sforzo, una riflessione maggiore, per non “relegarla” in quel ruolo di religiosa che nella Chiesa di quegli anni poteva vivere solo ruoli umili, di servizio, non sempre con il valore che attribuiamo oggi al servizio. C’è un femminile che decide di stare dentro a una situazione così, con un vissuto che ha però superato questo status, lo ha trasformato. Pur essendo donna e suora di quell’epoca, tra fine ‘800 e gli inizi del ‘900, c’è tanto di più in lei che possiamo scoprire, che supera il tempo.

Che cosa significa per lei, “tornare” a Treviso per questa occasione? E’ un omaggio alla sua città?

Sì, a Treviso e a quel luogo in particolare. Ho sempre trovato molto bello il nome che è stato dato a quel posto, “oasi”. Per chi, come me, è andato via per costruire altro da qualche altra parte, la vita si spezza in due, c’è un prima e un dopo. Alla fine, però, quel punto di partenza, la nascita, il legame con la lingua tua, la tua infanzia, non passa mai. I luoghi che incontri nelle città, così come per il teatro, che è un grande luogo, spesso vuoto, chiuso, lontano, sono una dimensione molto forte. Quel piccolo luogo è molto forte per me. L’ho sempre trovato una cosa molto bella per Treviso, indipendentemente dal fatto che uno si fermi o meno.

Perché la scelta del luogo per il monologo è caduta sulla chiesa di San Francesco?

Inizialmente l’idea era di farla all’aperto vicino all’oasi, ma a fine ottobre potrebbe non essere adatto. Qualcuno proponeva un teatro, ma io lo consideravo inadeguato per un lavoro su Bertilla, rischiava di essere un luogo finto. Meglio uno spazio accogliente, ma vuoto, spoglio. D’altronde, se ci pensiamo, gli spazi più importanti sono senza orpelli. Bertilla stessa era uno spazio col suo corpo, un vuoto che si è fatto pieno. 

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