Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Giovani in movimento con il "popolo delle sardine"
Lo scrittore Erri De Luca, scrive che oggi “Le piazze sono vive, hanno come motore dei giovani che rappresentano un movimento mondiale. Il futuro è in mano a loro, la bella notizia è che lo vogliono determinare, non subire passivamente”. Forse, bisognerà prenderne atto e ripensare, anche come chiesa, ad un nuovo modello sociale e culturale di relazioni e di approccio ai valori e anche alla fede; ad un rapporto meno strumentale tra generazioni.

Sempre più spesso ci sono giovani che, tramite i social network, lanciano una idea o una iniziativa che riscuote subito grande attenzione e successo. Sono cose che, di solito, avvengono al di fuori degli apparati propagandistici dei partiti o delle agenzie pubblicitarie.
Di recente è successo anche a Bologna, poi l’iniziativa è stata ripetuta a Modena e ora è annunciata a Reggio Emilia e in altre città, anche fuori dalla regione. A Bologna quattro giovani amici, che non volevano lasciare la città in mano a Matteo Salvini e ai suoi slogan populisti, hanno lanciato l’idea di ritrovarsi per dire la loro pacificamente e senza bandiere di partito. E’ nato così il popolo delle “sardine”. Un modo per dire che speravano di essere in tanti e, quindi, stretti come sardine. A Mattia, l’ideatore, bastava superare anche di poco le 5.000 persone che sarebbero confluite al Paladozza, tempio del basket cittadino, per ascoltare Salvini che dava il via alla campagna elettorale.
E’ andata oltre ogni aspettativa: sono arrivate in piazza Maggiore a Bologna oltre 15.000 persone; tanti giovani, ma anche famiglie con bambini e adulti. Nessuna bandiera o strumentalizzazione da parte di altre forze politiche e nessun segno di intemperanza o violenza. Solo due slogan, evidentemente di chiara valenza politica, che riassumevano il pensiero dei promotori: «Bologna antifascista» e «Bologna non si Lega».
A Piazza Maggiore Salvini ha avuto, così, uno spontaneo e pacifico controcanto. Molto diverso dalla contestazione che gli hanno riservato i quasi 2.000 dei centri sociali, raffreddati nelle loro intemperanze dagli idranti delle forze dell’ordine.
Eravamo abituati a vedere le piazze, oggi sempre meno affollate, agitate dai politici e dai sindacati. Per queste occasioni le varie istituzioni mettono sempre in moto un grande apparato organizzativo, fatto di propaganda e di “reclutamento”, perché hanno il terrore di trovarsi con la piazza mezza vuota.
Le piazze sono vive
Per i giovani non è così. Si muovono diversamente e spontaneamente e, grazie al passaparola che corre su Internet, convocano solo qualche giorno prima un flash mob, una manifestazione pacifica e apartitica, per lanciare un messaggio o un appello. Poi, velocemente il raduno si scioglie e ognuno va per la sua strada.
Lo scrittore Erri De Luca, scrive che oggi “Le piazze sono vive, hanno come motore dei giovani che rappresentano un movimento mondiale. Il futuro è in mano a loro, la bella notizia è che lo vogliono determinare, non subire passivamente”.
L’abbiamo visto, appunto, a Bologna e, prima ancora con Greta Thunberg, la quale sta portando in piazza milioni di giovani a difesa del clima e della Terra. Ma vanno ricordati tanti altri impegnati nel volontariato (pensiamo a coloro che in questi giorni sono subito accorsi a Venezia dopo il maltempo, così come avevano fatto negli anni scorsi a Firenze e a Genova) e nella difesa dei più poveri dalle prevaricazioni. Per tanti giovani la piazza non è solo il luogo del non far niente o dello sballo, ma della festa, della proposta e della richiesta, spesso implicita, di qualcosa al mondo adulto, sempre prodigo di consigli e avaro di soluzioni e concessioni. Le piazze sempre più sono abitate dalla “Now generation”, la generazione dell’adesso, del subito, che non ha la pazienza di mettersi in coda per ottenere qualcosa o per snervanti mediazioni.
Vangelo e inculturazione
Forse, bisognerà prenderne atto e ripensare, anche come chiesa, ad un nuovo modello sociale e culturale di relazioni e di approccio ai valori e anche alla fede; ad un rapporto meno strumentale tra generazioni. Non si tratta certo di seguire le mode: non c’è bisogno che un prete, per stare tra i giovani, scenda in piazza per un flash mob. Saremmo ancora dentro ad una logica giovanilistica e seduttiva, che alla fine renderebbe poco e, forse, ci farebbe apparire agli occhi della gente persino un po’ ridicoli.
Forse, però, l’annuncio di Cristo ai giovani necessita, oltre che di chiarezza, anche di una seria riflessione culturale, che aiuti a coniugare il Vangelo con linguaggi, istanze, valori, attese e ambiguità di questo mondo. E poi un grande animo che sappia accoglierli e valorizzarli per quello che sono e per come si pongono. Ritorniamo, così, al solito problema di fondo, quello cioè dell’inculturazione del Vangelo, pensata e attuata, però, a partire dai giovani e con i giovani.
Costruire l’amicizia sociale
Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Christus vivit”, lungi da ogni retorica giovanilistica, chiede ai giovani di andare oltre ai gruppi di amici e di costruire “l’amicizia sociale” e cercare il bene comune, evitando ogni forma di inimicizia (n. 169). Esprimendo pure il desiderio di vederli correre più velocemente di chi è lento e timoroso e, quando sono arrivati lì dove noi adulti e chiesa non siamo ancora giunti, di avere la pazienza di aspettarci (n. 299). Questo è già un capovolgimento di prospettiva nell’affrontare il problema; un metodo nuovo di avvicinare e comprendere il mondo giovanile. Non si tratta di rincorrerli e di conquistarli con le lusinghe, ma di lasciarli andare, lasciarli provare e cercare, chiedendo loro solamente di saperci aspettare per potere confrontarci e fare un tratto di cammino insieme.