La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
Siria: speranze e dubbi un anno dopo la caduta di Assad
Lunedì 8 dicembre in tutta la Siria ci sono stati festeggiamenti per il primo anniversario della caduta del regime della famiglia Assad. L’economia continua a essere in una condizione disastrosa, ma, in parte, le condizioni di vita sono migliorate.
La guerra civile, durata 14 anni, ha portato a una delle più grandi crisi migratorie del mondo, con circa 6,8 milioni di siriani, circa un terzo della popolazione, che sono fuggiti dal Paese al culmine della guerra nel 2021, cercando rifugio ovunque potessero trovarlo. Nel frattempo, milioni di rifugiati e membri della diaspora stanno valutando la decisione di tornare a casa e ricostruire le proprie vite. Per quanti sono già tornati, le limitate opportunità di lavoro, la mancanza di alloggi e l’elevato costo della vita continuano a ostacolare il reinserimento a lungo termine.
Abbiamo raggiunto il trevigiano Davide Chiarot, operatore di Caritas Italiana, ad Aleppo, per chiedergli delle “istantanee” sul Paese oggi, dove a ottobre ci sono state le prime elezioni, ma solo una parte del sogno siriano si è avverata.
Un anno dopo la caduta di Al-Assad dove sta andando la Siria?
A un anno dalla fuga di Bashar al-Assad in Russia qui ad Aleppo c’è un sacco di gente per strada che sventola la nuova bandiera nazionale. Ci sono cortei delle macchine per strada. Molte sono le persone riunitesi in piazza con i fuochi d’artificio. L’anno alle spalle è stato un anno sicuramente complicato. Se, da un lato, il sollievo maggiore è quello di aver riassaporato la libertà, adesso, per tutti si respira un’aria di apertura. Tuttavia, c’è ancora molta preoccupazione per quello che può essere il futuro, perché i fatti che si sono succeduti quest’anno, a partire dalle violenze nel litorale, poi a sud, con la minoranza drusa, e con la questione politica tutta aperta con i curdi. E, quindi, non si sa bene dove si potrà finire. Certamente, c’è speranza, ma c’è anche tanta preoccupazione per le minoranze. È ancora lontana l’idea di una pluralità rappresentata. Sicuramente, c’è molto più successo in questo momento nella politica estera che negli equilibri interni.
A pesare sulle spalle dei siriani, oltre all’incertezza politica, c’è la questione economica?
Il punto cruciale è quello delle sanzioni a cui ancora è sottoposta la Siria, anche se sembra profilarsi un allentamento. La situazione del Paese era un disastro con Al-Assad, e dopo un anno non si può parlare ancora di una ripresa economica. Le sanzioni esistenti bloccano la possibilità di investimento e manca la sicurezza interna. La moneta resta ancora inflazionata e il sistema bancario resta isolato dal resto del mondo. Purtroppo, quasi il 90% della popolazione si trova sotto la soglia di povertà. Si dipende ancora dagli aiuti umanitari, sia per il cibo che per le cure mediche.
Vi sono segnali di speranza per la costruzione di una Siria per tutti?
C’è speranza che alcuni cambiamenti possano essere attuati e che, piano piano, ci sia una ripresa delle opportunità di lavoro. Sono ancora oltre un milione e mezzo gli sfollati interni, che hanno dovuto lasciare case e villaggi durante la guerra e non sono ancora potuti tornare. Ma per tornare serve una ricostruzione. Questo momento che stiamo vivendo si può sintetizzare con due sentimenti che vivono la maggioranza delle persone. Da un lato la preoccupazione per il futuro e quale forma può avere la nuova Siria, dall’altro la speranza che è nel cuore del popolo siriano e dove ognuno cerca di fare la propria parte per una Siria plurale.



