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Talca (Cile): il nostro grazie a Treviso

Mons. Horacio Valenzuela, vescovo di Talca, ha voluto ringraziare mons. Gardin per la lunga presenza di sacerdoti della nostra diocesi, conclusasi con la morte di don Sante Dal Tin. In questa intervista mons. Valenzuela ci parla anche del rapido secolarismo che ha investito il paese e della recente Visita ad Limina.

09/03/2017

Era il lontano 1949 quando don Angelo Campagner, veniva inviato in Cile dal vescovo di Treviso Antonio Mantiero. Cinque anni dopo, nel 1954, a Talca, veniva aperta la prima missione fidei donum della nostra diocesi. Uno dei sacerdoti inviati era don Sante Dal Tin, morto lo scorso anno proprio a Talca. La scomparsa di don Sante ha chiuso questa lunga presenza trevigiana in terra cilena. Ma il legame e la gratitudine restano quanto mai profonde. A darne voce è stato, la scorsa settimana, il vescovo di Talca, mons. Horacio Velenzuela Abarca che, reduce dalla Visita ad Limina, ha voluto venire nella nostra diocesi per ringraziare di persona il vescovo Gianfranco Agostino Gardin. Nell’occasione è stato ospitato a Salzano dal parroco, mons. Paolo Cargnin, anch’egli a suo tempo missionario fidei donum a Talca. L’abbiamo incontrato proprio nella canonica di Salzano. Ed è interessante notare che, pure in un contesto così diverso, di fronte alla crescente secolarizzazione emergono, sia a Talca che a Treviso, risposte simili, a partire dalla priorità dell’incontro con Gesù Cristo.
Mons. Valenzuela, ci può fare un bilancio della presenza trevigiana a Talca?
Sono qui per questo motivo, per ringraziare la Chiesa di Treviso nella persona del Vescovo, per questa presenza che iniziò quando era vescovo mons. Manuel Larraín Errázuriz, una figura molto importante per la storia della nostra Chiesa; fu co-fondatore del Celam, e partecipò con un ruolo di primo piano al Concilio Vaticano II. Aveva una grande attenzione alla Chiesa universale e un grande spirito missionario. Il bilancio è assolutamente positivo, soprattutto per un aspetto. Parlo della formazione delle persone portata avanti di persona. I sacerdoti hanno dedicato molto tempo a poche persone, conversando sulla fede, trasmettendo il vangelo. Ogni giorno avverto che per la nostra Chiesa e per i nostri sacerdoti lo stile dei missionari fidei donum trevigiani è stato molto apprezzato. Sento che l’opzione evangelizzatrice di Treviso a Talca ha privilegiato la qualità, la profondità, e non tanto la quantità. Questo è un tesoro molto grande per l’azione evangelizzatrice della nostra Chiesa. Si è trattato di un contributo profetico, anche pensando ai successivi passi della Chiesa latinoamericana, che al Convegno di Aparecida del 2006 ha sottolineato la centralità dell’incontro personale con Gesù Cristo.
Ci sono frutti visibili di questa collaborazione?
Sì, ci sono, ma molto più importanti sono quelli invisibili. Un frutto visibile è ad esempio l’esperienza che va sotto il nome di Ministros enviados. Abbiamo circa 200 ministri, che potremmo definire diaconi a tempo che accompagnano le comunità, battezzano, presiedono le celebrazioni domenicali e che seguono da vicino la  vita dei sacerdoti accompagnando nel contempo le comunità. La formazione di tali ministri è avvenuta anche grazie alla presenza dei sacerdoti della diocesi di Treviso. Per capire il senso di questo ministero, va sottolineato che nel nostro territorio diocesano abbiamo circa 480 chiese (per una cinquantina di parrocchie e una popolazione totale di circa 640mila abitanti, ndr) e abbiamo solo 40 sacerdoti.
E cosa ha donato la Chiesa di Talca a quella di Treviso?
Nella missione c’è sempre reciprocità. Credo che i sacerdoti trevigiani abbiano ricevuto una dimensione di incarnazione, la gente in Cile sa dare una bella accoglienza. In tal modo si produce una fusione tra il vangelo annunciato e il vangelo vissuto.
Quali sono oggi le principali sfide per la Chiesa cilena?
Qui in Cile la secolarizzazione è avanzata in modo molto forte e rapido. E si è scontrata con una Chiesa che non era preparata a questo. La Chiesa cilena era abituata al riconoscimento di tutta la società. Il cambiamento è stato drastico. La Chiesa ha perso molta autorità, certo anche per gli scandali degli abusi sui minori che hanno coinvolto alcuni sacerdoti… Ma non solo per questo. Il secolarismo è arrivato con una forza inusitata, più che negli altri paesi sudamericani, la frequenza alla messa è del 10%. Per noi la sfida oggi è la formazione delle persone. Non si può essere ormai cattolici in Cile solo per inerzia, serve una fede più convinta. Questa situazione ci ha obbligato ad avviare, ad esempio, una catechesi rinnovata, nella quale si privilegia l’incontro personale con Gesù Cristo. L’altro aspetto centrale è la dimensione comunitaria, il tentativo di privilegiare le piccole comunità, in cui si vive la fraternità, la lettura cristiana della vita, il reciproco aiuto. Il momento difficile ci ha costretto ad andare in profondità, è stato provvidenziale perché ci obbliga all’essenziale, all’incontro personale con Gesù Cristo. Bisogna anche dire che, ad esempio il Cile non ha mai avuto molte vocazioni... La Chiesa cilena non ha martiri.
Cosa ci può raccontare della recente Visita ad Limina dei vescovi cileni in Vaticano?
Mi pare che papa Francesco stia inaugurando un nuovo modo di incontrarsi con i Vescovi, che è caratterizzato dalla sinodalità. La Visita ad Limina non è solamente un trasmettere informazioni. Questa è stata una Visita davvero molto bella, per me era la terza… ed è andata al di là di ogni aspettativa perché si è verificato un bel dialogo con il Santo Padre. Con molta umiltà e apertura abbiamo parlato di tutti i temi, con molta libertà. Il Papa ha generato questo clima di grande libertà. E’ stato un momento unico. Abbiamo vissuto non solo e non tanto una Chiesa “sub Petro”, sottomessa al Papa, ma una Chiesa “cum Petro”, che cammina insieme al vicario di Cristo.
Il Cile ha una grande fragilità ambientale e nelle scorse settimane anche la sua diocesi è stata colpita da numerosi incendi...
Gli incendi sono stati terribili, hanno coinvolto 500mila ettari. Si è trattato del più grande incendio della storia. In Cile si è affermata, come in nessun altro paese dell’America Latina l’ideologia del capitale, di ricavare il massimo beneficio con poco costo sfruttando le risorse naturali. Anche gli incendi hanno a che vedere con questo. Non abbiamo rispettato il ritmo, i modi, i tempi della natura. Il bello di queste brutte situazioni è che si provoca un’ondata grande di solidarietà. E’ accaduto con il terremoto, sta accadendo anche adesso. Noi come Chiesa stiamo promuovendo soprattutto piccoli progetti destinati ai piccoli agricoltori e ai piccoli proprietari. E poi è molto importante l’assistenza psicologica. Molta gente ha pensato di morire, molti hanno visto bruciare la casa, morire i propri animali.
Tra pochi mesi in Cile si voterà per le Presidenziali. Qual è il vostro rapporto con le istituzioni civili?
Il rapporto è molto complesso. Ha fatto irruzione, come fosse un’alluvione, questa cultura secolarista. Noi oggi abbiamo un governo tremendamente secolarista. Anche i cattolici che sono impegnati in politica non sono capaci di fare fronte a questa ondata… Ci sono per esempio parlamentari cattolici praticanti che hanno approvato la nuova legge che legalizza l’aborto. Ed ora irrompe il tema dell’ideologia di genere. Cerchiamo di mantenere un dialogo vivo per cercare di far capire la posta in gioco, le conseguenze di alcuni atti. Emerge qui l’incapacità di avere un progetto di società. Un esempio: in Cile il 72% nasce al di fuori del matrimonio. E’ stata fatta una legge la quale prevede di dare una casa alle ragazze madri. Così abbiamo tante ragazze che cercano di restare incinte, appena uscite da scuola. Questo capita quando le politiche non hanno un progetto di società. Anche questa situazione ci sfida a formare una generazione di cristiani convinti, preparati. Di fronte ad un forte vento gli alberi senza radici non resistono.

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