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Punto politico: i 5 Stelle potranno rifarsi ma hanno finito di essere il "nuovo"

La sconfitta dei pentastellati è, assieme all’ennesimo crollo della partecipazione al voto, l’elemento politico più rilevante di queste elezioni amministrative. Va notato che la battuta d'arresto arriva quando, per la prima volta, c’erano dei sindaci grillini (o meglio, quasi sempre ex grillini) chiamati a “rispondere” del proprio operato. 

15/06/2017

A livello nazionale la battuta d’arresto che non ti aspetti, almeno in queste dimensioni. A livello locale la totale mancanza di exploit. Per il Movimento 5 Stelle quella di domenica è stata una pessima giornata, anche nel nostro territorio. Cinque anni fa, appena fuori dai confini diocesani, a Mira, il movimento aveva addirittura vinto. E nel Miranese aveva raccolto percentuali abbondantemente a due cifre, stavolta non confermate.

La sconfitta dei pentastellati è, assieme all’ennesimo crollo della partecipazione al voto, l’elemento politico più rilevante di queste elezioni amministrative.

Certo, un’analisi seria deve partire da alcuni dati di fatto. In primo luogo, quello amministrativo è soprattutto un voto locale. E stavolta erano interessati Comuni sì importanti (Palermo e Genova sono la quinta e la sesta città d’Italia), ma il test era meno significativo di quello del 2016. In secondo luogo, il sistema elettorale dei Comuni tende a premiare tendenzialmente le coalizioni e il bipolarismo. Eppure, proprio con questo sistema i 5 Stelle avevano vinto a Parma, cinque anni fa, poi a Livorno e addirittura, dodici mesi fa, a Roma e a Torino.

Insomma, la sconfitta c’è tutta. Va notato che essa arriva quando, per la prima volta, c’erano dei sindaci grillini (o meglio, quasi sempre ex grillini) chiamati a “rispondere” del proprio operato. Non erano più “il nuovo”, ma “sindaci uscenti". Proprio nel 2012, infatti, i 5 Stelle avevano conquistato i loro primi, clamorosi successi. Soprattutto a Parma, con Pizzarotti, ma anche in altre località, come Comacchio e Mira. Non è forse un caso che in nessuna di queste tre città il candidato ufficiale dei pentastellati fosse il vincitore di cinque anni fa. Espulso dal movimento Pizzarotti (ora al ballottaggio), espulso anche il sindaco di Comacchio Marco Fabbri (rieletto a capo di una civica al primo turno). Non ricandidato il sindaco di Mira Alvise Maniero. Aggiungiamoci il pasticcio di Genova (la città di Grillo, dove il candidato votato dagli iscritti non è stato voluto dal lider maximo del movimento), i disastri della Giunta Raggi a Roma, le recenti disavventure di Chiara Appendino a Torino. Tuttavia, dare per morti i 5 Stelle, appare un esercizio del tutto velleitario e astratto.

Nessuna ragione della loro affermazione è nel frattempo venuta meno, e le elezioni Politiche sono tutt’altra cosa rispetto alle Comunali.

 

Pd ancora ammaccato

Del resto, le altre forze politiche non hanno tanti argomenti per gioire. Intanto non può non preoccupare l’ulteriore calo dei votanti: quasi un elettore su due è rimasto a casa, nonostante la popolarità e la vicinanza dei sindaci alla gente sia certamente superiore a quella dei politici nazionali. Colpisce che tutti, il giorno dopo le elezioni, se ne lamentino. Ma che poi nessuno faccia qualcosa per frenare questo calo di partecipazione, causato anche dalla recente usanza di posticipare a giugno la tornata elettorale.

Tra le forze che certamente restano ammaccate, spicca certamente il Pd, che non si è ancora ripreso dalla batosta referendaria. Certo, il partito di Renzi porta quasi tutti i suoi candidati al ballottaggio. Ma spesso in condizioni non ottimali. Perde comunque consensi, non mobilita militanti e cittadini (dove son sparite le primarie per indicare i candidati sindaco?), ha finito di essere fattore di unione e attrazione per altre liste e partiti minori (vedi Mirano), spesso si è spaccato (vedi Marcon o Salzano, sempre restando al nostro territorio). A Padova un centrosinistra unito avrebbe vinto al primo turno. Vedremo se la ricucitura in vista del ballottaggio basterà.

 

Il ritorno del centrodestra

Il centrodestra ha maggiori motivi per esultare. Se unito, va quasi sempre al ballottaggio, spesso al primo posto. Può giocarsela anche in territori ostici: dal “nostro Miranese” alla Toscana. Eppure, le percentuali non sono più quelle di un tempo. Fino a 5 anni fa, in tutto il nord, si andava al ballottaggio con il 40%. Ora basta il 30%, a volte anche meno. La stessa Lega stravince nei suoi feudi della Sinistra Piave, ma non sfonda là dove avrebbe tanto desiderato: a Silea, per “assediare” Manildo al confine del comune, a Casale, nella Piombino Dese feudo di “bulldog” Marcato, il popolare assessore regionale. Insomma, è un po’ poco per parlare di “ritorno delle coalizioni” e di “ritorno del bipolarismo”. Indubbiamente, però, quando centrodestra e centrosinistra si presentano uniti e con candidati convincenti, l’effetto 5 Stelle si sgonfia. Ed è questa l’unica piccola indicazione che pare venire dai cittadini.

Per il resto, il voto amministrativo - restando dentro i confini del nostro territorio - premia a turno un po’ tutti: a volte la Lega, a volte il centrodestra unito, a volte il centrosinistra, a volte liste civiche o trasversali, come si può leggere nei servizi di queste pagine. Due le regole che si confermano anche stavolta: gli elettori premiano i sindaci uscenti e molte volte anche le maggioranze uscenti. E punisce le spaccature interne alle maggioranze.

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