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Banche, i nodi al pettine

La lunga crisi di Veneto Banca e di Credito trevigiano sembra arrivata a un punto di svolta decisivo. Eletti i due nuovi presidenti

Castelfranco e Montebelluna rimandate a settembre in economia finanziaria. Forse non hanno studiato abbastanza, forse i professori di Bankitalia ce l’hanno con loro, fatto sta che il 2015 è un anno nero per le banche della zona. La lunga crisi di Veneto Banca e del Credito cooperativo trevigiano sembra ormai arrivata a un punto di svolta decisivo. In un paio di settimane sono stati eletti due nuovi presidenti: Piero Pignata alla Bcc di Vedelago e Pierluigi Bolla per Veneto Banca. Nuovo amministratore delegato per Veneto Banca, con Cristiano Carrus. Forze nuove che dovrebbero fermare una caduta verticale, tanto che Veneto Banca ha già approvato un aumento di capitale da un  miliardo di euro, il 20% in più di quanto previsto e che era già pesantissimo. Per la Bcc invece c’è un buco di 140 milioni, in un contesto tutt’altro che trasparente, pur dopo il commissariamento dell’agosto del 2014: il bilancio del 2013 si era chiuso con 42 milioni di perdite.  
Le due banche navigano in acqua perigliose: Veneto Banca insieme a PopVi, Carige e Mps è stata classificata, in via informale, dalla Bce, a seguito degli stess test europei, nella classe di rischio 4 (elevato) e ha contro una serie di risparmiatori guidati da Giovanni Schiavon dell’associazione “Azionisti Veneto Banca”, che si sentono traditi dal crollo del valore della azioni della banca.
Al di là delle vicende societarie di cui piano piano si stanno individuando le possibili responsabilità - l’ex presidente Flavio Trinca di Veneto banca e il suo ex amministratore delegato Vincenzo Consoli sono inquisiti, mentre gli ispettori di Bankitalia hanno individuato un’ottantina di operazione non chiare del Credito cooperativo trevigiano - la crisi di queste banche sta prosciugando la liquidità degli imprenditori della Pedemontana veneta. Veneto Banca in particolare era un faro per l’imprenditoria in quanto sosteneva con energia e fondi l’iniziativa locale, fatto salvo poi, improvvisamente, quando l’Europa e il Governo Renzi hanno chiesto di diventare finalmente società per azioni abbandonando il voto capitario, trovarsi in serio imbarazzo e di fatto quasi annullare il valore delle proprie azioni. La pericolosa correlazione tra capitale sottoscritto e finanziamenti concessi ad alcuni soci, messa in luce dalla Bce, oggi può significare fallimento per molti imprenditori, ma soprattutto togliere respiro all’economia della zona.
Per Veneto Banca il problema è come e quando sbarcare in borsa: sbarcare in tempi rapidi con un’alleanza già definita oppure attendere tempi migliori, come vorrebbero i piccoli risparmiatori per non svendere le loro azioni. In prospettiva sembra che la sfida finale sarà la Borsa, solo dopo la trasformazione definitiva in spa si vedrà chi sono i veri proprietari di Veneto Banca. I risparmi e i prestiti di tanti cittadini e imprenditori sono ormai su un ottovolante guidato da tante alchimie e incognite finanziarie. Alla fine questa parte della Marca gioiosa potrebbe ritrovarsi a fallire l’aggancio con la ripresa economica in corso in Italia e diventare fanalino di coda dopo i successi e i tanti meriti del passato.

I timori e le domande di imprenditori e risparmiatori di Veneto Banca

La crisi di Veneto Banca cova sotto pelle a Montebelluna, una specie di eritema che ancora non mostra le sue chiazze rosse. Difficile pronosticare se diverrà un prurito spasmodico, un fuoco ardente o se si troverà in tempo l’antidoto, un “cortisone” finanziario. I 400 esuberi sono lì, le 130 sedi da chiudere pure, si vedono i volti dei risparmiatori che hanno visto ridotti di due terzi i propri depositi. Non si vedono ancora quelli degli imprenditori che sul credito di Veneto Banca avevano costruito la loro avventura imprenditoriale. Quelli che lavoravano con gli affidamenti, con lo sconto effetti, con i castelletti, con l’anticipo fatture, insomma con tutte quelle tipologie di anticipo di liquidità di cui le aziende hanno estremo bisogno per vivere. Sono prassi normali, ma che a Veneto Banca sono diventate tossiche. Basta guardare il sito del Tribunale di Treviso, alla voce fallimenti, per vedere il lungo elenco che riguarda Treviso e Montebelluna.
“Appena arrivata la crisi ho chiesto in banca di vendere le azioni della banca stessa - ricorda un imprenditore -, avevo bisogno di liquidità. Hanno detto che era meglio non venderle e attivare un mutuo: io ho fatto così. Da anni mi servo da Veneto Banca. Ora le mie azioni non sono più sufficienti a garantire il mutuo, perché hanno perso gran parte del loro valore. Intanto la mia azienda ha bisogno di liquidità”. Un classico esempio dell’economia reale, fatta di imprenditori e di prodotti che funzionano, stritolata dall’economia finanziaria, fatta di alchimie e algoritmi pericolosamente in bilico. “Guardi - racconta un montebellunese doc -, mio padre ha ottant’anni, abbiamo messo tutti i risparmi di una vita nelle azioni di Veneto Banca perché davano ottimi rendimenti. Adesso non ho il coraggio di dire a mio padre che ha perso quasi tutto il capitale”.
Montebelluna è una città appesa alla sua banca, in passato era fra le prime città d’Italia per reddito pro capite. Nel 2009 il Censis aveva classificato Montebelluna tra i 161 territori di eccellenza in grado di produrre il 24,6 % del pil nazionale. Montebelluna era al terzo posto. Un tessuto produttivo che aveva resistito alla crisi e che ora è strangolato dalla finanza. Quindici anni fa si potevano trovare tutti i protagonisti tra i Lions di Montebelluna, c’era Tartini predecessore di Trinca e il plenipotenziario  del Veneto, Carlo Bernini. Poi i vincitori dell’assemblea del 1997, Trinca e Consoli, hanno iniziato ad orbitare attorno alla Lega di Zaia che pompava regionalismo, localismo e autonomia da Roma su tutti i media. E da Veneto Banca si rispondeva con dividenti altissimi.
Si potevano riconoscere segnali delle future criticità? “Io non capivo - ci racconta un ex dipendente pubblico - perché molti aprissero un conto in Veneto Banca che spesso aveva commissioni altissime. Il sito internet ebbe un’apertura e un’evoluzione assai lenta”. Altri ti raccontano l’avventura in Romania: “Veneto Banca seguì i suoi imprenditori anche laggiù. Quando si sono spostati in Cina li ha seguiti, alla fine però tanti rientrano e non so se la banca abbia solo guadagnato da questi investimenti delocalizzati”. In privato, ma è notizia non confermata, Flavio Trinca dice di essere rimasto vittima dei suoi funzionari, di cui si fidava, e lui stesso, che aveva investito tutto nella “sua” banca, si ritrova con assai poco. Il clima è nero. 

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