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Cassa integrazione: gli artigiani attendono
I lavoratori del settore non hanno avuto finora il regolare versamento degli ammortizzatori sociali promessi dal Governo per far fronte alle difficoltà dovute al lockdown. L'Ebav si fa in quattro, ma il Fondo non viene alimentato

Sopravvivere, gestire i risparmi e le minime entrate, lavorare tre o quattro giorni alla settimana. Così, dall’inizio del lockdown, va per i lavoratori artigiani che non hanno avuto il regolare versamento della cassa integrazione promessa dal Governo.
Gli ammortizzatori sociali, erogati direttamente dall’Inps, hanno potuto contare sull’anticipo da parte delle aziende stesse, che compensavano con i contributi da versare, oppure sul pagamento diretto dall’Inps, che sapeva quante ore doveva pagare al lavoratore. L’Inps è riuscita a mettersi a regime dopo l’iniziale incertezza di marzo e aprile.
“Per gli artigiani, invece è stato utilizzato l’Ebav, Ente bilaterale artigianato veneto, gestito da associazioni degli artigiani e sindacati - spiega Bruno Deola, della Cisl di Belluno Treviso -, che tradizionalmente si occupa degli ammortizzatori sociali per le aziende artigiane. Un ente che finora si occupava di numeri piccoli: su 120mila lavoratori artigiani nel Veneto, potevano essere, in un mese, una decina che chiedevano la cassa integrazione”.
All’improvviso, si è ritrovato a gestire 100mila domande in pieno lockdown. “A Belluno e Treviso abbiamo tre dipendenti e qualche dirigente. Per di più, non potevamo muoverci dall’ufficio, non potevamo incontrare i lavoratori per avere i dati, raccogliere e firmare i moduli necessari. In tempi normali servivano dai quattro ai sei mesi per completare la pratica ed erogare il sussidio. In pochi mesi ci siamo dovuti districare fra questo numero enorme di domande: solo a Treviso ne abbiamo fatte 14 mila e 2.500 a Belluno. Ci sono state pratiche perse, altre inevase e non caricate. Poi c’era il labirinto degli Iban delle banche, spesso rispetto ai tempi dell’iscrizione del lavoratore erano cambiati e l’interessato non aveva mai comunicato i nuovi. Ci è capitato di fare oltre 2mila telefonate a consulenti del lavoro delle aziende e a lavoratori direttamente. Un lavoro certosino”.
Nonostante le difficoltà, comunque, l’Ebav a fine luglio aveva caricato tutte le domande e così i lavoratori hanno cominciato a ricevere i sussidi di marzo e aprile, circa 1.400 euro a testa. Poi, però, i fondi direttamente disponibili dall’Ebav sono finiti e ora lo Stato deve trasferire quasi un miliardo e mezzo di sussidi nelle casse dell’Ente, per alimentare il fondo Fsba (Fondo di solidadietà bilaterale per l’artigianato) e liquidare gli altri mesi. “Noi siamo pronti a pagare non appena i fondi saranno disponibili - prosegue Deola -, però al momento non ci sono. Dal 18 maggio noi siamo rientrati tutti in ufficio e la macchina ha lavorato a pieno regime verificando le pratiche, facendo l’incrocio tra ore caricate e ore di cassa integrazione e infine potremo procedere alla liquidazione”.
Non sono chiare le ragioni di questi ritardi, le somme sono state già stanziate con due successivi decreti. I fondi dovrebbero essere anticipati dall’Inps, che però esita e chiede a Ebav una tipologia di rendicontazione che questa non è in grado di fornire, perché non è strutturata in quella modalità.
“Per il momento siamo sospesi anche sul piano del futuro delle imprese artigiane. Da una parte si spera che gli ammortizzatori sociali arrivino fino a 18 settimane e così, in molti casi, si potrebbe coprire il lavoratore fino al 31 dicembre 2020. Difficile, però, immaginare che aziende che da otto mesi non incassano riescano a sopravvivere, i costi fissi si devono pagare e si rischiano buchi finanziari non recuperabili”.
“Commercio e turismo sono alla frutta. C’è un rallentamento micidiale delle attività in questo settore. In estate hanno aperto con il solo personale fisso. In futuro c’è il rischio che non riaprano più. Negli altri settori finora non abbiamo chiusure generalizzate. Ci aspettavamo un’ondata di Naspi, Nuova assicurazione sociale per l’impiego, ovvero l’indennità di disoccupazione. Questo non è avvenuto, piuttosto stiamo registrando molte dimissioni, si cercano altri posti di lavoro, c’è una riorganizzazione. Il lavoratore si guarda intorno e si domanda se in quel settore c’è ancora futuro e spesso cambia”.
Al momento il Governo ha congelato i licenziamenti. Sta pensando a incentivi per la ripresa dell’occupazione, si dovrà districare tra le varie proposte di sussidio, evitando di cadere nei contributi a pioggia, nel sostegno a settori senza futuro, sprecando preziosissime risorse. “Non stiamo registrando drammi, siamo fermi sotto il profilo dell’attività sindacale. In questo momento ci sono problemi concreti di gestione della quotidianità. Con la riapertura della scuole, siamo subissati di chiamate dei lavoratori che chiedono come comportarsi con il bambino che non va all’asilo, perchè c’è stato un caso positivo, e tutti i compagni sono in quarantena. Chiamano dicendo che devono andare a prendere il bambino, i tamponi sono lenti, i lavoratori non sanno se possono andare in malattia, i titolari non sanno come comportarsi nei casi sospetti, perché devono salvaguardare tutti i lavoratori dell’azienda. La strada per uscire dall’emergenza è ancora lunga”.