lunedì, 05 maggio 2025
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I due anni accoglienti della famiglia Calò

Era l’8 giugno 2015 quando sei profughi varcavano  a Camalò la soglia di casa Calò. Nel frattempo la storia della famiglia è finita in un film. E l’insegnante è stato insignito della medaglia d’oro al Quirinale. L’accoglienza in famiglia ha finora funzionato, ma nubi si addensano sull’imminente futuro.

E’ la fine di una settimana molto impegnativa per il prof. Antonio Calò, la moglie Nicoletta e la sua famiglia: l’uscita del film “Dove vanno le nuvole”, gli incontri pubblici, le interviste... e lui è più combattivo che mai. Mi accoglie nel suo studio tra centinaia di libri, fogli di appunti, borse di materiale convegnistico, qualche foto tra cui quella con il presidente Mattarella e le pipe; indossa una maglietta con la celeberrima frase del filosofo tedesco Immanuel Kant “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” che mi spiega essere stata un dono della mattina da parte dei suoi studenti del liceo Canova. Trovo che sia una delle sintesi più efficaci di questo professore di Camalò e dell’esperienza di accoglienza che sta portando avanti con la famiglia da ben due anni. Da quando l’8 giugno del 2015 la prefettura gli ha telefonato per dirgli che c’era bisogno dei posti che lui aveva offerto per ospitare 6 migranti africani, scaricati poi alle 7 di sera dal pullman che li aveva raccolti direttamente da Lampedusa.
“Oggi viviamo un tempo di attesa che prelude la grande festa o la tragedia – mi spiega -. Dopo un lungo percorso i “miei” ragazzi lavorano tutti con contratti a tempo determinato e stanno in attesa di conoscere l’esito della procedura per ottenere o vedersi negato il permesso di soggiorno: tre di loro sono al terzo grado d’appello, uno non è ancora mai stato chiamato in commissione e solo per un altro è arrivato l’assenso per motivi umanitari”.
Che succede se, dopo 2 o anche 3 anni, si vedono respinta la domanda di riconoscimento di protezione internazionale?
Protesteremo vivacemente, perché è una farsa vergognosa: equivale a dire che dopo aver salvato queste persone, averle accolte e gradualmente inserite nel contesto sociale e lavorativo, aver investito risorse umane ed economiche con comprovati risultati, gli diamo una pedata e li mandiamo via. Se dovesse finire così, tornerò al Quirinale per restituire la medaglia di ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana. Lo farò non solo per i 6 che sono con me, ma per tutti quelli che si trovano in analoghe situazioni. Questa non è la risposta di uno Stato serio e la responsabilità è di chi ci governa.
Tocca un tema molto sensibile, le questioni migratorie solitamente non portano voti a meno che non siano di chiusura.
Ho scritto a tutti in questi anni, al premier, al ministro dell’Interno, all’ex presidente dell’Anci. Non ho mai ricevuto risposta. A casa mia è venuto il mondo, perfino Al Jazeera, ma nessun politico. Quando in primavera hanno mostrato a Montecitorio il film “Dove vanno le nuvole” c’era un solo parlamentare, l’on. Dalla Zuanna. Uno solo. Il problema non sono i sei migranti che vivono nella mia famiglia, ma l’assenza di un progetto serio di gestione delle migrazioni, l’idea che l’Italia sia un territorio transeunte mentre in realtà con la chiusura delle frontiere a Nord e ad Est cambiano completamente le prospettive. E pensare di risolvere la questione in Africa è un altro errore.
C’è stato l’accordo con la Libia all’inizio dell’anno e c’è tutta l’azione soprattutto del terzo settore nell’ambito della cooperazione. Non hanno senso?
Il patto tra Gentiloni e Al Serraj è una bestemmia, non diverso nella sostanza da quello che siglarono Berlusconi e Gheddafi, con la differenza che questo leader non è riconosciuto da tutto il popolo libico. Si dichiara l’intenzione di rinchiudere i migranti in centri di detenzione di prossima costruzione in Libia e di offrire il sostegno finanziare l’addestramento alle forze di sicurezza perché sorveglino i loro confini al costo di 220 milioni di euro. Ma le migrazioni sono, dopo il petrolio, il maggior business del paese. E noi, ci vogliamo candidare al Nobel per la pace conniventi con uno stato che regolarmente perpetua l’abuso sui diritti umani? Sull’Africa, oggi regalata ai cinesi dalle multinazionali europee e statunitensi, davvero ci sarebbe da aprire una profonda riflessione che però  nessuno vuole fare.
L’altra volta che venni qui le chiesi “perché?” e mi risposte “per urgenza sociale e civile”. Stavolta le domando “come?”. Come si fa a convivere insieme a sei migranti, due anni sono lunghi…
A casa siamo riusciti a creare una bella armonia, possibile per la capacità di adattarci, condividere, essere reciprocamente tolleranti. Molto dipende da mia moglie e dai miei figli che hanno saputo creare relazioni profonde, tanto che oggi ci consideriamo una famiglia nel senso più globale del termine. E poi tante persone ci aiutano, non siamo soli: alcune lo fanno concretamente, altre con la condivisione di riflessioni. E’ un sostegno morale non di poco conto. Oggi io sono contento e ricco: sono un miliardario di umanità ed è questa che mi scatena la rabbia.
Forte dell’esperienza concreta, del “laboratorio” che è stata casa sua, lei ha ora un modello da proporre basato su un percorso in cui, tra l’altro, la famiglia rappresenta l’eccezione.
Certamente. Questa scelta era “nelle corde della nostra famiglia” ma non la si chiede ad ogni famiglia. Chiunque, tuttavia, può dare un suo contributo secondo le proprie abilità. Il modello che oggi proponiamo prevede un percorso ben chiaro: i primi 3 mesi dell’accoglienza sono dedicati al recupero dell’umanità ferita; per questo servono una psicologa, un’assistente sociale e un adulto significativo. Poi si attiva il progetto, uguale per tutti in qualsiasi luogo, con chi ci sta. E qui avviene la selezione, che parte dalla volontà del migrante. Nel primo anno è prevista la scuola tutti i giorni dal lunedi al giovedi dalle 9 alle 13. Quattro materie. Matematica, geostoria, inglese, italiano. Due pomeriggi doposcuola, uno di terapia di gruppo ed individuale, uno di attività sportiva, il venerdi in moschea per i musulmani, al sabato volontariato. Il secondo anno tirocinio in aziende, perché non possiamo dimenticare che loro arrivano qui per lavorare, con due condizioni: non portar via alcun tipo di possibilità agli italiani; non occupare lo spazio di cassintegrati, disoccupati o cose del genere. In questo percorso non li si può incontrare mentre bighellonano in giro con il cellulare in mano. Non è da poco.
Lo ha definito il modello 6+6x6. Oltre ad una trovata comunicativa, cosa c’è dietro questi numeri?
6 migranti, perché non si può pensare agli africani se non in contesti di comunità e quindi non singolarmente, seguiti in una sorta di casa famiglia, da una equipe di sei persone: psicologo, medico, avvocato, assistente sociale, mediatore, insegnante. E questo gruppo di lavoro può seguire 6 nuclei. 6+6x6. Ogni comune sotto i 5.000 abitanti dovrebbe ospitare al massimo 6 profughi; poi si sale a 12 aumentando il numero di popolazione. Non avremmo più ammassi incontrollati di persone in luoghi dove fantomatiche cooperative fanno affari d’oro sulle spalle dei migranti. Ed economicamente ho fatto i conti: è sostenibile.
Tra i pro c’è sicuramente il tema dell’accoglienza diffusa e dunque della sicurezza sociale, oltre che del possibile indotto occupazionale. Tra i contro la reticenza politica?
Sarebbe tutto alla luce del sole, con il comune a rispondere in prima persona e una attenta selezione sul personale da impiegare. Muove economia – perchè la spesa la puoi fare a chilometro zero -, crea posti di lavoro. Dobbiamo organizzarci qui da noi perché l’esodo dall’Africa è infinito. L’alternativa è che, prima o poi, si giungerà allo scontro sociale. Senza contare il ruolo chiave che hanno le Commissioni e i giudici a cui rivolgo un appello: che quando sono presenti i documenti che attestano il percorso di inserimento socio lavorativo sia data la possibilità al migrante di rimanere in Italia. E’ un autentico segnale di riscatto sociale.
E’ difficile portare la responsabilità di questa esperienza, delle persone che ha con sé, di quanto sta maturando in termini di pensiero e proposta?
Chi è venuto e ha visto ha potuto comprendere e capire. Gli altri proveranno a delegittimarmi ma io non cambio idea. I miei alunni recentemente mi hanno detto: “Non ci siamo stupiti perché l’ha fatto. Ci saremmo stupiti se non l’avesse fatto”. Hanno bisogno di coerenza, di speranza, di esempi concreti che dimostrino che si può fare.
Per saperne di più visita la pagina fb. Un’altra accoglienza.

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