Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Riforma della tassazione per le multinazionali: accordo, ma al ribasso
A Venezia, al G20 dell'Economia è arrivato, ma con molti compromessi. Ne abbiamo parlato con Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all'Università Statale di Milano e sherpa del Civil20

La riforma della tassazione delle multinazionali è arrivata all’ultimo miglio, dopo l’accordo raggiunto il 1° luglio tra 131 (su 139) Paesi in sede Ocse e la ratifica avvenuta durante il G20 dei ministri dell’Economia e dei banchieri centrali svoltosi a Venezia dal 7 all’11 luglio 2021. Ci sarà ancora qualche mese per mettere a punto gli aspetti tecnici e persuadere i Paesi che non hanno aderito finora all’intesa avendo aliquote sugli utili inferiori. Per esempio, l’Irlanda il 12,5%, l’Ungheria il 9%.
I 131 Stati che sostengono l’intesa rappresentano il 90% del Pil mondiale. Una volta che saranno stati definiti in sede Osce in ottobre i dettagli tecnici - passaggio tutt’altro che banale - le nuove regole potrebbero scattare a partire dal 2023 e generare entrate aggiuntive per 150 miliardi di dollari l’anno, secondo i calcoli dell’Ocse.
Il compromesso per un’equa e comune tassazione per le grandi multinazionali, raggiunto a Venezia, è stato comunque deludente per la società civile: esso riguarda infatti solo le imprese con un fatturato di almeno 20 miliardi di euro e con una redditività di almeno il 10 per cento. E con non poche possibilità di continuare a pagare minori imposte, attraverso triangolazioni di fatture con i paradisi fiscali che ne riducono i profitti dichiarati.
Per capire meglio i cambiamenti finanziari in atto a livello globale abbiamo posto alcune domande a Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università Statale di Milano e sherpa del Civil 20 (rete della società civile internazionale che dialoga con il G20).
Quali sono i principali risultati raggiunti nel vertice G20 di Venezia?
I Venti hanno sottoscritto l’intesa raggiunta in sede Ocse il 1° luglio sulla riallocazione dei profitti e sulla tassa minima globale (global minimum tax) di almeno il 15%. Suona ambizioso, in realtà è un’intesa al ribasso. L’idea è che tutti i Paesi impongano una tassa del 15% sui profitti per evitare che le multinazionali li nascondano, facendoli figurare dove le tasse sono più basse. Ma il 15% è poco più del 12,5% chiesto dai paradisi fiscali. Il presidente americano Biden, infatti, aveva proposto il 21%, ma non l’hanno seguito.
Al G20 di Venezia si è parlato di rilancio del multilateralismo e di continuare la moratoria del debito per aiutare le economie più povere.
I leader del G20 sanno che la crisi Covid-19 ha un impatto di vasta portata sui Paesi più poveri, che già stavano affrontando gli effetti dei conflitti, dei cambiamenti climatici, degli choc socioeconomici e di una cronica mancanza di risorse e infrastrutture. Per aiutare i Paesi più fragili, il G20 si è impegnato in una serie di misure - tra cui l’alleviamento del debito e il finanziamento allo sviluppo - con particolare attenzione all’Africa. La moratoria del debito era stata già approvata dal G20 lo scorso anno ed è stata estesa fino alla fine del 2021. E’ un provvedimento insufficiente, perché libera risorse per i Paesi indebitati solo temporaneamente. Si è parlato anche di emissione dei “diritti speciali di prelievo”. Ma anche qui l’impegno di 650 miliardi di dollari è troppo poco.
Quale posizione ha la società civile di fronte a questa moratoria?
La società civile ritiene che si debba procedere a una vera e propria cancellazione del debito estero, che liberi liquidità per i Paesi in difficoltà. Un po’ come quello che è avvenuto in occasione del Giubileo del 2000. Inoltre, propone di incrementare l’emissione dei diritti speciali di prelievo (Dsp) fino a 3mila miliardi di dollari da parte del Fmi.
Potrebbe spiegarci cosa sono i “diritti speciali di prelievo”?
Il Fmi può emettere i Dsp e distribuirli ai suoi Stati membri (ndr, 190 Paesi). E’ una sorta di liquidità nuova messa nelle mani dei Paesi membri, senza costi né condizioni, che viene distribuita in ragione delle quote che ogni Paese detiene nel Fmi, a loro volta proporzionali al Pil. Era già avvenuto nel 2009, all’apice della crisi economica e finanziaria globale, quando la comunità internazionale ha risposto - a una crisi molto più piccola per portata e impatto umano - con 250 miliardi di dollari in Dsp. I Dsp sono valuta figurativa che il Fmi ha a disposizione per aumentare le riserve globali in periodi di crisi e i governi li possono usare senza vincoli. Il problema in questo caso è che, visto che vengono distribuiti in proporzione della dimensione economica del Paese, per disporre di risorse adeguate i Paesi più poveri avrebbero bisogno di una emissione molto più consistente.
Nel prossimo Giubileo, atteso per il 2025, potrebbe essere riproposto il tema della cancellazione del debito?
Molte organizzazioni della società civile stanno ponendo il tema del debito oggi, e anche il Papa ha posto il problema. Un impegno corale in favore della giustizia economica internazionale è necessario… La situazione debitoria dei Paesi poveri è più critica oggi rispetto al 2000 perché nella gestione dei debiti pesano sempre di più banche, fondi di investimento e speculatori, realtà private non toccate da quella sospensione dei pagamenti sugli interessi del debito decisa l’anno scorso dal G20 a presidenza saudita. Il G20 comunque sta solo pensando alla moratoria fino alla fine della pandemia, non alla cancellazione.
Un altro tema affrontato a Venezia è stato quello del clima. Tutti d’accordo in linea di principio sui danni causati dal surriscaldamento globale, i leader del G20 (e non solo) fanno però ancora fatica a trovare un’intesa su come combatterlo.
Qui la discussione è molto articolata. Da parte dei Paesi che hanno emissioni più alte c’è il timore di sostenere un accordo che penalizzi il proprio sistema produttivo. Da parte di chi non inquina e della società civile internazionale c’è una chiamata alla responsabilità verso chi inquina. Non c’è oggi un consenso globale, ma finalmente si parla apertamente di tassare chi emette, cioè chi inquina. L’idea è che si tratti di una tassa globale (ndr, il cosiddetto “carbon pricing”), mettendo un piccolo mattone nella costruzione di un sistema di fiscalità internazionale che oggi non esiste.
Infine, uno spazio rilevante nell’agenda del vertice di Venezia è stato dedicato alla ripresa post-Covid, tra varianti del virus, nodo vaccinazioni, fragilità dei mercati emergenti e rischio inflazione.
Sullo sfondo resta la preoccupazione per la diffusione delle varianti del Covid-19, che combinata all’iniqua distribuzione dei vaccini nel mondo, minaccia la ripresa e rischia di penalizzare sempre di più i Paesi poveri, già in difficoltà. Sul punto i Paesi più ricchi, Ue in testa, propongono doni per aumentare la disponibilità di vaccini al Sud del mondo. La domanda della società civile e della maggioranza dei Oaesi del mondo è l’accesso ai brevetti dei vaccini, norma prevista dal Wto. Ma c’è resistenza: chi ha il monopolio della conoscenza e della produzione non vuole condividerla. La richiesta di normare in modo diverso i brevetti va nella direzione di consentire produzioni nel Sud del mondo. Va nella direzione di riequilibrare più ampiamente il potere tra Nord e Sud del mondo per costruire un mondo più equo.