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II domenica di Quaresima: Ascoltiamo la sua vita intera

Nella voce del Padre l’invito ad ascoltare e a seguire “il Figlio mio, l’amato”

Nella seconda tappa del cammino verso Pasqua, è sempre riproposto il racconto di un’esperienza particolare di Gesù, alla quale assistono i tre discepoli che saranno chiamati a essergli più vicini anche nel Getsemani, poco prima del suo arresto. E’ considerato un racconto sempre necessario per proseguire il cammino appena iniziato.

Dal monte in Galilea al colle del Golgota

Il legame con quanto accadrà, nel Vangelo secondo Marco è chiarito dal comando di Gesù di non raccontare quanto hanno sperimentato, finché non si fosse compiuta la sua risurrezione. Andando a ritroso, si comprende, allora, quali conseguenze abbia l’altro comando, quello proveniente dalla «voce» uscita dalla nube: «Ascoltatelo!». Ascoltatelo, cioè seguitelo, fino alla fine, fin quando definitivamente si manifesterà che «questi è il Figlio mio, l’amato». Fin sotto la croce, dove non giungeranno i discepoli, neppure quei tre, ma qualcun altro, un militare pagano, che riconoscerà Gesù come Figlio di Dio. Il lettore/ascoltatore del Vangelo già sa dell’identità di Gesù come «Figlio amato», dall’inizio, dal battesimo compiuto in solidarietà con tutti gli altri discepoli di Giovanni. Lì la «voce dal cielo» era solo per lui, qui su questo monte è, invece, già per i tre discepoli. Alla fine, sul Golgota, non ci sarà voce, ma tragico silenzio di fronte alla domanda di Gesù: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» e al suo ultimo grido di morte. Ma in quel silenzio, la voce del centurione diventa la testimonianza inattesa che, dall’esterno del cammino dei discepoli, annuncia il volto definitivo di Dio nell’«impossibile» sua solidarietà con coloro che sono creduti maledetti dagli uomini e da Dio stesso.

Un andare oltre la tradizione ricevuta

Qui, nel dialogo e nel confronto con Elia e Mosè, coloro che nella storia di Israele avevano vissuto una grande intimità con Dio e insieme avevano condiviso la sofferenza di una profonda incomprensione da parte del popolo di Israele, si manifesta con chiarezza a Gesù la via fino alla croce che verrà piantata sul colle fuori dalla città santa. Emerge anche un superamento della tradizione religiosa del popolo d’Israele a cui egli appartiene, rappresentata da quei due grandi personaggi, tradizione che pure aveva contribuito a fare di Gesù l’uomo che era: la voce dalla nube ormai comanda di ascoltare lui! E dopo l’immersione nell’oscura luminosità del divino, i discepoli si ritrovano con il solo Gesù da seguire. Un Gesù che scende dal monte, che non si ferma a quell’esperienza così straordinaria che ha manifestato più intensamente la presenza di Dio in lui (quelle vesti illuminate dalla sua corporeità gloriosa): quel Gesù che non ascolta Pietro e la sua richiesta, ma prosegue oltre, verso una tragica morte e la speranza che la relazione con il Padre possa generare altra vita. Anche ogni nostro personale rispondere soltanto a una tradizione religiosa, sia pur basata sugli insegnamenti del Vangelo, rischia continuamente di limitarsi a ciò che abbiamo già compreso, a ciò che già ci è stato tramandato. Mentre “seguire lui” comporta rischiare cammini anche inediti, dentro le circostanze della vita e della storia.

Riscoprirsi “figli amati”

Questo, forse, per noi oggi il senso di ascoltare una volta ancora la narrazione di quanto è accaduto «sul monte». Un cammino che prosegue, che sarà chiamato dagli altri brani evangelici a confrontarsi, in modo particolarmente forte nell’itinerario di quest’anno liturgico, con l’ombra sempre più tremenda della croce. Un confronto confermato in maniera spietata dalle innumerevoli croci e crocifissi che rabbuiano la storia in cui viviamo, in troppe circostanze che sempre più coinvolgono il nostro stesso quotidiano.

Ma proprio in questo faticoso andare, sta il comando ad «ascoltare» la vicenda di Colui che si è manifestato Dio-salva fin oltre la stessa croce. Ascolto compiuto, lo ripeto, da dentro cammini incerti e profondamente turbati, personalmente, come umanità, come Chiesa stessa. Lui rimane il «Figlio amato», anche quando agli occhi di tutti sarà condannato a morire da maledetto. Noi rimaniamo con lui «figli amati», da lui continuamente salvati fin dentro la nostra fede incerta, la nostra fragile speranza, il nostro contraddittorio amore, fin dentro i momenti di smarrimento e di dolore, fin dentro il nostro stesso peccato che ci separa da lui e dagli altri.

Ascoltare lui genera speranza

di cammino

Lui rimane Gesù, presenza di salvezza che il Padre ci offre per accompagnare, sostenere, rialzare il nostro cammino, personale, ecclesiale, dell’umanità tutta. La presenza viva del «Figlio amato» continuamente ci chiama oltre, continuamente ci fa riscoprire inedite energie di vita per cammini inesplorati dietro a lui. «Ascoltate la sua vita intera!» diventa comando di speranza fin dentro passi di bufera, voce potente rivolta a ciascuna, a ciascuno, ma che insieme ci coinvolge come Chiesa, responsabili di testimoniarne la credibilità con il nostro fragile andare. Voce appassionata che fa risplendere ogni oscurità quanto basta per aprire cammino verso Pasqua, la sua e la nostra, e di tutta l’umanità.

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