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XXXIII Domenica Tempo ordinario. Perseverare: continuare ad amare

Gesù promette il dono del suo Spirito per aprirci a una testimonianza

Ci avviamo alla conclusione di questo anno liturgico, e ci viene proposto un brano evangelico che rilancia tematiche di tipo escatologico, relative alle “cose ultime” che rivelano il senso della storia e la sua fine. Con il genere letterario “apocalittico” (= di rivelazione) si cercava di comprendere il giudizio definitivo di Dio sulla storia, per rassicurarsi circa il premio del bene e il castigo del male. Ma Gesù non accetta di semplificare così la complessità della vita e il suo senso.

Non l’Apocalisse, ma l’accadere della storia

Egli, inizialmente, provoca i suoi interlocutori ribaltando una speranza di stabilità, fondata sulla solidità del tempio e, quindi, sulla persistenza di un culto (di tipo sacrificale), che garantiva il rapporto con Dio. Di tutto questo “non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (Lc 21,6). Poi, però, si sottrae alla richiesta di una “rivelazione sui segni” che precedono questi avvenimenti, intesi come interventi di Dio che fanno finire la storia. Gesù rimanda, piuttosto, agli avvenimenti dentro la storia, che sono sotto la responsabilità umana: guerre, conflitti interni alle famiglie e alle comunità, persecuzioni, tradimenti... E invita a cogliere l’occasione di “dare testimonianza” di una salvezza che si sta sperimentando: la sua vicinanza che ci salva la vita. A patto di “perseverare” (v. 19), di reggere nel prolungarsi dei tempi avversi, perché, per portare frutto, il seme ha bisogno di cure prolungate nel tempo (cf. Lc 8,15).

Che cosa ci turba oggi

Con il gruppo Caritas di Pederobba, che ringrazio per il prezioso confronto, ci si è interrogati su che cosa ci turbi, nel tempo che stiamo vivendo.

C’è molto che ci disorienta: è un mondo che avvertiamo minaccioso, ben più di anni fa. Si sente la mancanza di punti di riferimento, quali potevano essere l’appartenenza a una comunità, comunità cristiana, ma anche comunità civile. Questo porta a smarrimento, ancor più chi è giovane. Si sperimenta lo sfaldarsi di legami, un tessuto che si rivela fragile, incapace di sostenere chi vive momenti di crisi, di difficoltà personale, familiare. E tale fragilità la si sente conseguenza di un clima più generalizzato di pericolo, che fa sperimentare impotenza, e genera il desiderio di chiudersi in se stessi a difesa. Emerge, poi, un nuovo fattore di turbamento: “L’assenza di turbamento” in tanti che non si lasciano toccare da avvenimenti, anche gravi, che capitano loro accanto. Eppure, uomini, donne, bambini continuano a morire di guerra e di fame, non solo: continuano a morire vicino a noi sul lavoro, donne continuano a essere uccise...

L’«occasione di dare testimonianza»

Nel Vangelo, però, si coglie che anche le fonti di turbamento più grandi, le situazioni in cui ci si trova personalmente in pericolo di vita, possono diventare, paradossalmente, occasioni per “dare testimonianza” (v. 17). Dare testimonianza di aver sperimentato un bene, un senso a quel che viviamo, grazie a incontri con persone, a esperienze vissute. Dar testimonianza che la propria vita è stata nella burrasca e ti sei affidato e hai sperimentato una salvezza, un vissuto di bene. Testimoniare quel che “mi dà fiato” per vivere. Allora, perseverare è fidarsi che, anche quando non senti una presenza, quella presenza ci sia, anche quando non avverti qualcuno che ti sostiene, qualcuno ci sia... “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, dice Gesù al termine del Vangelo secondo Matteo (28,20). È una presenza perseverante e senza condizioni, fondata unicamente sulla sua unilaterale decisione di amarci, fino alla morte e fin oltre la morte. Scoprendo che amare è perseverare, e chiede perseveranza, per dargli tempo di piantare radici, crescere, portare frutto...

«Perseverare»

Gesù promette il dono del suo Spirito non per chiuderci in autodifesa, ma per aprirci ad una testimonianza: ci vengono donate “parola e sapienza” per gustare la sua presenza di bene e comunicarla fin dentro le situazioni di rischio e turbamento, e coglierne l’occasione per testimoniare che scegliere di fidarsi di lui ci salva la vita, in un sostegno reciproco che costruisce comunità. Allora, perseverare nel bene è già testimoniare, perché ci permette di essere presenti a noi stessi oltre lo “straviamento continuo” che turba i nostri giorni, in ritmi disumanizzanti di vita. È perseverare nelle relazioni che vengono continuamente turbate, per consolidare un vincolo di umanità che va oltre i vincoli del sangue, lasciandoci toccare in profondità da quanto capita all’altro e all’altra più vicini o più lontani. Allora, sì, non ricercheremo “i segni della fine”, in fatalistica e rassegnata attesa di rovine che non sappiamo come evitare. Piuttosto, saremo disponibili ad accogliere, dentro la storia di questo tempo in cui ci troviamo a vivere, le occasioni per sperimentare un perseverare nel bene, nel nostro agire quotidiano e attorno a noi. E contribuire, così, a costruire, con altri e con altre, il suo Regno che viene, vera “fine” della storia, o meglio, suo compimento.

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