La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
STORIE DI NATALE 2: Esprimere e veder accolti i propri desideri
“Ruvidamente”. Accade spesso così, per le persone con disabilità, il passaggio alla vita adulta dopo il termine delle scuole superiori. Perché, se nel contesto dell’infanzia e dell’adolescenze, i servizi e le forme di tutela funzionano, non senza difficoltà e lacune, dopo le cose si fanno molto più complicate: Quale occupazione, in un lavoro protetto o nelle strutture come i Ceod con le loro lunghe liste d’attesa? Quale autonomia possibile, in famiglia o in contesti comunitari? Quale socialità e quali reti di territorio, anche in prospettiva a lungo termine? E tutto questo, tenendo al centro il fondamentale diritto della persona con disabilità di determinare se stessa, di realizzare (e, prima ancora, esprimere e veder accolti) i desideri, valorizzando le risorse e seguendo gli interessi. In altre parole, compiere il proprio progetto di vita che, a guardar bene, vale per tutti, normali, strani, border, con poche o tante capacità nella propria saccoccia.
Vertigini sul futuro
“Il tempo della scuola dell’obbligo è stato significativo - raccontano i genitori di Giovanni, oggi vent’enne, di Olmi -. Nonostante l’ansia dell’inizio dell’anno sulla nomina dell’insegnante di sostegno e qualche altra burocrazia, tutto è filato dentro un percorso definito, dove il ritmo è scandito dai calendari scolastici con le loro abitudini e i riti conosciuti. Abbiamo vissuto con la chiara impressione che ci fossero persone e strutture che si prendessero cura di nostro figlio, oltre a noi”: la scuola, appunto, ma anche gli scout, la realtà della parrocchia, la Nostra famiglia. Dopo, è più complicato: “Giovanni ha partecipato a un progetto, è seguito dal servizio pubblico, abbiamo visitato dei Ceod, trovando spirito di servizio e coraggio, ma anche lunghe liste di attesa e ospiti con esigenze diverse, dove è più difficile costruire una visione progettuale specifica per nostro figlio”. Finché ci saranno loro, riflettono Franca e Marco, non smetteranno di cercare, di mediare, di aprire possibilità: e dopo? “È inevitabile pensare al futuro e vivere un senso di vertigine che toglie il fiato. Una famiglia da sola non ce la fa, serve una rete” e che sia solida. “Fino all’anno scorso nostro figlio sedeva a scuola accanto a ragazzi della sua età. Ora il divario è reso evidente, le solitudini si acuiscono. E non è facile fare sintesi tra le indicazioni dei servizi, i vissuti di Giovanni, le speranze della famiglia, spesso anche intervenendo con iniziativa privata per sopperire alla sua domanda: Cosa succede domani?”.
Parole che risuonano con molta verità: “Serve un cambio di passo, serve la presa di coscienza che queste persone hanno delle potenzialità e, dunque, sostenerle non con progetti di breve durata, ma sulla lunga distanza - ribadiscono Stefano e Tiziana, genitori di Livia, di Roncade -. Senza scontrarsi continuamente con la burocrazia e una solida rete di sostegno”, che aiuti chi aiuta. Solo il sostegno reciproco, caparbio e autentico, può fare la differenza.
Progetto di vita = vocazione?
A mettere al centro una prospettiva nuova sulla disabilità adulta è arrivata finalmente anche la legge. Frutto di lunghi percorsi di conoscenza, analisi, sperimentazione, ha spostato il baricentro da un approccio funzionale a uno globale, partecipato e dinamico. Una evoluzione che va verso un cambio di paradigma e che tiene insieme anche tutto quanto è stato costruito in termini di servizi e progettualità. Il decreto legislativo 62/2024 rende il progetto di vita individuale centrale e personalizzato per ogni individuo con disabilità, ne definisce i contenuti e le modalità di attivazione con l’obiettivo di piena inclusione sociale e autonomia. La sperimentazione ha coinvolto quest’anno 20 province in Italia, tra cui Vicenza, e nel 2026, a marzo, arriva anche a Treviso.
“I territori devono generare opportunità, sanitarie, sociali, di tempo libero, di relazioni... Il nostro ha cercato di inserirsi in questa prospettiva già da qualche tempo – precisa Paola Roma, presidente della Conferenza dei sindaci dell’Aulss, nuova assessora regionale al Socale, in forza alla Lega -; sta lavorando nella rete dei servizi, con le associazioni, le realtà locali, le famiglie e lo sprone della fondazione Tina Anselmi, che si occupa proprio di progetti di vita. Nel budget di salute dell’azienda sanitaria già era previsto un intervento specifico su questo, che non è «mestiere» solo dell’ufficio pubblico, ma riguarda tutti”. Il presupposto di un cambiamento di approccio che, poi, è anche organizzativo viene, dunque, ora favorito con occasioni di informazione e formazione specifiche perché tutti coloro che sono coinvolti, a titolo diverso, possano partecipare positivamente, dai medici di medicina generale all’Inps, dai servizi al territorio.
“La volontà consapevole è di non escludere nessuno, di arrivare a ogni persona con disabilità e poterla sostenere nel suo percorso, ma anche di riuscire a coinvolgere tutti coloro che, a titolo diverso, possono dare un aiuto in modo coordinato - prosegue Roma -. Noi siamo pronti per consolidare questo approccio grazie all’opportunità offerta ora dalla sperimentazione”. Finalmente, allora, non vedremo le persone con disabilità come quelle che hanno qualcosa da provare a sviluppare o imparare, ma prima di tutto attenzionando la prospettiva più alta del senso e della pienezza della vita e forse, balbettiamo, la vocazione che è un dono per ciascuno.



