Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Pandemia, che cosa ci ha lasciato. Una nuova organizzazione per la sanità e il welfare



In ambito sanitario, su questo mondo post Covid si oscilla tra fiducia e un filo di scetticismo. Edgardo Contato, direttore generale dell’Ulss3 Serenissima, ricorda che “siamo partiti praticamente nudi, ma il sistema ha reagito in modo tale che la popolazione è stata tutelata, e questo soprattutto grazie alla grande sinergia tra le istituzioni del territorio, Comuni, volontari, forze dell’ordine ecc. Ognuno ha dato il proprio contributo giorno e notte e ne siamo venuti fuori”. Quando gli si chiede se la nostra sanità sia stata colta alla sprovvista dal Coronavirus, risponde: “Non ci siamo trovati impreparati, perché abbiamo sempre avuto un servizio di prevenzione molto ben strutturato, non abbiamo mai smantellato la componente territoriale, come hanno fatto in altre regioni. Ogni anno ci troviamo con la West Nile e altre malattie che si affacciano, ma la macchina funziona grazie ai preziosi presidi territoriali”. Su questo punto, rassicura che “con la Regione facciamo costante manutenzione sui piani di intervento nel caso ci sia una pandemia o una situazione di rischio pandemico” e sottolinea che il Covid-19 ha portato anche a una grande occasione per il nostro Paese, ovvero il Pnrr, “un’opportunità storica che non va sprecata e da cui dobbiamo trarre il più possibile, anche dal punto di vista organizzativo”.
I medici di famiglia, presidi territoriali
F. S., medico di famiglia a Spinea, appare meno ottimista: “Non abbiamo imparato tanto, e le guerre ce lo insegnano. C’è piuttosto la tendenza all’autocura: visto che il sistema sanitario ha mostrato dei limiti, le persone cercano di arrangiarsi, passando da una sanità pubblica a una sempre più privata”. Ripercorre con la memoria alcuni momenti difficili, come la signora di 85 anni che assisteva bardato con una tuta sanitaria, lasciando le bombole di ossigeno in corridoio per evitare un rischioso ricovero; e, poi, le corse a recuperare i vaccini, l’organizzazione delle vaccinazioni per evitare gli assembramenti dei pazienti, e la paura di vedere il proprio tampone positivo, cosa che avrebbe trasformato proprio lui in un pericolo per i suoi pazienti. E, ancora, quella notte di capodanno trascorsa a registrare i dati dei tamponi, una tirata non stop dalle dieci di sera alle due di notte. Ci si potrebbe aspettare che siamo diventati cittadini più attenti alla salute, se non a quella degli altri (le mascherine in caso di raffreddori erano in effetti una buona idea, che purtroppo abbiamo perso) almeno alla propria. Il dottor S., però, non riscontra nulla di simile: “Siamo presi da tante altre cose, la medicina è una parte della vita e la senti quando ti capita”. Un “cambiamento epocale” però c’è stato, ovvero l’aumento dell’utilizzo dei mezzi tecnici per comunicare a distanza: “Nel bene e nel male, il rapporto con i pazienti è cambiato”.
Gli anziani, i più fragili
Proprio quelle relazioni si sono cercate di salvaguardare, in tutti i contesti. Aveva fatto il giro del Paese la famosa “stanza degli abbracci” ideata all’interno del Centro servizi alla persona Domenico Sartor di Castelfranco: “Una bolla trasparente che potesse contenere gli ospiti in modo tale da non consentire il passaggio di aria e di droplet” spiega la direttrice dell’istituto, Elisabetta Barbato: “La progettazione ha permesso di creare due ambienti distinti, separati da barriere di vetro a tutta altezza, completamente sigillate, con un sistema di comunicazione tramite cuffie regolabili. Per dare calore abbiamo inserito un ledwall al centro della stanza dove proiettare immagini piacevoli e rassicuranti, e abbiamo predisposto in ogni postazione dei guanti per il contatto e due stanze dedicate agli abbracci, che fossero accessibili anche per gli ospiti allettati”. Secondo la dottoressa Barbato, a distanza di cinque anni al Sartor “si lavora con una maggiore consapevolezza e con maggiori strumenti operativi, e questo, inevitabilmente, impatta positivamente sul clima di lavoro e sulla qualità del servizio offerto ai nostri ospiti. La terribile esperienza vissuta ha sicuramente accresciuto le conoscenze e ha permesso di dotarsi di strumenti per far fronte a situazioni simili”. Inoltre, “è stato necessario da subito mettere in campo flessibilità, disponibilità e capacità di comunicazione sia all’interno della struttura sia verso l’esterno”: un’opinione condivisa, bene o male, da tutti gli operatori in ambito sanitario.