Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Dal carcere minorile al progetto promosso con Treviso Sotterranea


Sono Sara, uno dei soci fondatori dell’associazione Treviso sotterranea, che da più di 10 anni lavora per far conoscere gli ambienti ipogei delle mura e della città e per promuovere il patrimonio culturale di Treviso. Quando ho conosciuto don Otello Bisetto, che mi ha proposto di collaborare con il carcere minorile, ho accettato subito, incuriosita e desiderosa di far avvicinare un ragazzo al mondo dei beni culturali. Pensavo che il prendersi cura di qualcosa lo avrebbe forse aiutato a vedere il mondo in modo diverso. Mi chiedevo come rendere questo percorso positivo e formativo per lui; non mi ero, invece, fatta nessuna domanda su cosa avrebbe dato a me questa esperienza; mai avrei immaginato come questo percorso sarebbe stato ricco di momenti significativi che mi avrebbero coinvolta e arricchita.
La prima volta che vidi Stefano fu in carcere. Un pomeriggio sono arrivata di corsa, dopo il lavoro, all’ingresso del carcere minorile, un luogo che mi è familiare, perché lo intravedo andando al lavoro. Appena varcata la porta, però, mi ha assalito un senso di estraneità: entrando ti rendi conto di accedere a una bolla, dove lo spazio e il tempo hanno significati diversi. Ti spogli di quello che ti lega all’esterno, telefono, borsa e altri effetti personali, ed entri in un mondo a parte. Ho incontro Stefano in una delle sale del carcere, con la sua educatrice, e, insieme, ci siamo seduti e abbiamo iniziato a organizzare il progetto di messa alla prova. Capii subito che Stefano era un ragazzo intelligente, vidi nei suoi occhi una grande timidezza mista, però, alla voglia di mettersi in gioco.
All’inizio era sorridente, ma di poche parole, stordito dalle troppe persone nuove e forse anche preoccupato del giudizio altrui. Di volta in volta lo vedevo più rilassato, pronto ad aiutarmi con i caschetti o a gestire i visitatori, e autonomo nel compito di aprire gli spazi sotterranei.
Il vero cambiamento, però, è avvenuto non nei momenti di lavoro, quando eravamo guida e aiutante, ma quando tornavamo Sara e Stefano, due persone molto diverse per età ed esperienze di vita, che hanno, pian piano, iniziato a conoscersi e scoprirsi. I discorsi sono passati dalle chiacchiere di circostanza al vissuto personale e Stefano ha iniziato ad aprirsi e a parlare di sé, del carcere e di una vita così lontana dalla mia. Ho visto in lui forza e fragilità e mi è venuto spontaneo raccontarmi, mettermi in gioco e riflettere.
Col passare dei mesi, delle domeniche e dei sabati trascorsi insieme sulle mura o in sede, ho iniziato ad affezionarmi a Stefano e ho riconosciuto in lui potenzialità che in principio non avevo sospettato. Ho pensato che aveva tutte le capacità per essere lui stesso una guida e ho deciso che, negli ultimi mesi rimasti al progetto, lo avrei preparato a condurre una visita guidata sulle mura.
Abbiamo passato molti pomeriggi e mattine a scrivere testi, preparare scalette e ripetere le conoscenze storiche. In principio con tranquillità, poi, con un po’ di preoccupazione, per la data della visita finale che si avvicinava. L’educatrice e io avevamo cercato, insieme a don Otello, di invitare alla visita un gruppo di persone che fossero state vicine a Stefano in questo suo periodo all’Ipm, per rendere l’esperienza ancora più significativa.
Le domeniche prima dell’evento la tensione si sentiva, e pure io ero emozionata e preoccupata, con una sensazione simile a quella delle ultime prove prima di un grande spettacolo. Stefano era sempre più ansioso, tanto che mi convinse ad andare in carcere per un ripasso finale prima della guida. Quello fu sicuramente un momento significativo, era preoccupato ed emozionato, sia per la visita che per il suo futuro. A breve, avrebbe cambiato vita, girato pagina, e la libertà di scegliere, a volte, può spaventare più della prigionia.
Il 5 febbraio era il grande giorno e tutto era preparato: un bel gruppetto di persone fra volontari del carcere, insegnanti, guardie e soci di Treviso Sotterranea era pronto per assistere alla visita e a festeggiare, poi, con un pranzo insieme.
Mi alzai presto e andai a prendere Stefano in Ipm. Era emozionato, terrorizzato di non essere all’altezza della situazione, ma forse felice per la disponibilità di tutte quelle persone che venivano ad ascoltarlo. Cercai di ridere e scherzare, ma mi rendevo conto di essere in ansia anche io, mentre preparavamo i caschetti e l’attrezzatura gli continuavo a ripetere che sarebbe andato tutto bene.
È stato molto bello vedere tutte quelle persone, che fanno parte di un mondo duro come quello del carcere, riunite insieme e sorridenti per dimostrare il loro affetto a un ragazzo che ha sbagliato, ma che ha dimostrato di avere la capacità di cambiare.
Mentre introducevo la visita, nonostante 10 anni d’esperienza, riuscii a perdere il filo per l’emozione. Passai la parola a Stefano. Iniziò con incertezza, ma più passava il tempo più diventò sicuro e condusse un’ottima visita. In quel momento, ero veramente fiera di lui e vedevo negli occhi di tutti gli intervenuti lo stesso affetto e l’apprezzamento per il suo lavoro.
Finita la visita e sciolta la tensione, si è potuto, finalmente, festeggiare.
Questa esperienza non mi ha dato solo la possibilità di essere d’aiuto a un ragazzo per fornirgli sicurezza sulle sue capacità e possibilità future, ma ha permesso anche a me di riflettere sulla mia vita e sulle mie scelte e sulle potenzialità che ognuno di noi ha di influire positivamente sulla vita degli altri.