venerdì, 26 luglio 2024
Meteo - Tutiempo.net

Vittime di mafia: il dovere della verità

La singolare vicenda del medico sandonatese Attilio Manca riproposta in occasione di un convegno nell’imminenza della Giornata di ricordo di tutte le vittime di mafia, il 21 marzo
20/03/2024

L’80% delle vittime di mafia in Italia non conosce la verità. Questo è anche il triste caso di Attilio Manca, urologo morto esattamente vent’anni fa, che di recente è stato ricordato con un partecipatissimo evento al centro culturale Leonardo da Vinci di San Donà di Piave, i cui contenuti riprendiamo nell’imminenza della Giornata del 21 marzo, in ricordo delle vittime di mafia.

Numerosi gli ospiti illustri: Angela e Gianluca Manca, madre e fratello di Attilio, che in questi anni, con grande dignità, non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia per il loro caro, don Luigi Ciotti (fondatore del Gruppo Libera), la deputata Stefania Ascari e l’ex onorevole Piera Aiello (principali firmatarie della relazione sulla morte di Attilio), il legale della famiglia Manca, Fabio Repici, la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro, l’ex deputato Luca Paolini, il sindaco di San Donà di Piave, Alberto Teso e l’amico di infanzia di Attilio, Stefano Ferraro. Moderatrice dell’incontro la giornalista Petra Reski. Gli interventi musicali di Filippo Bellomare, amico di Attilio, hanno accompagnato l’evento.

Attilio Manca, nato a San Donà di Piave nel 1964, a soli quarant’anni era già diventato un luminare nel campo dell’urologia, perfezionandosi in una nuova tecnica di cura, che al tempo padroneggiavano pochissimi in Europa. Proprio per questo motivo, Manca venne avvicinato dai fiancheggiatori del boss corleonese Bernardo Provenzano: negli ultimi anni della sua latitanza, infatti, il criminale soffriva di problemi alla prostata. Per proteggere la latitanza di Provenzano, attraverso l’inchiesta parlamentare, è emerso dalle intercettazioni che alcuni fiancheggiatori decisero di “fare la doccia” a questo dottore, la cui “colpa” era quella di essersi opposto a curare il boss.

Strane indagini

La morte di Attilio, avvenuta nella sua casa di Viterbo l’11 febbraio 2004, è una vicenda torbida. “Le indagini furono condotte in maniera opaca”, racconta Fabio Repici, legale della famiglia: “Il caso è stato subito descritto dalla procura di Viterbo come un suicidio per overdose da alcol, eroina e barbiturici: ma allora perché Attilio si sarebbe dovuto iniettare la dose sul braccio sinistro, lui che era un mancino puro? E perché venne ritrovato sul letto in una posizione anomala, con ecchimosi su tutto il corpo?” si chiede il legale. “E ancora - aggiunge - com’è possibile che non siano state trovate impronte digitali sul luogo del delitto, nemmeno degli amici ospiti di Attilio i giorni precedenti? Inoltre, dai tabulati telefonici sparirono le telefonate effettuate quella sera dalla vittima. Da tutti questi episodi dubbi, concludiamo che le indagini condotte dalla procura di Viterbo, piuttosto che ricostruire i fatti, pare abbiano voluto coprire una messinscena, infangando la memoria di Attilio con conclusioni infamanti”.

Incalza l’avvocato: “E’ immorale che in Italia gli sforzi per ricercare la verità siano delegati ai familiari delle vittime, che con perseveranza chiedono di riaprire le indagini. Il mandamento mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto è molto potente, e intrattiene stretti legami con la locale loggia massonica, della quale fanno parte apparati deviati dello Stato. Il mandamento era così potente da avere un ruolo fondamentale durante gli ultimi anni della latitanza di Provenzano, macchiandosi di delitti efferati, come in questo caso”, conclude Repici.

Hanno preso, quindi, la parola Piera Aiello e Stefania Ascari, deputate del Movimento 5 Stelle che parteciparono all’inchiesta parlamentare su Manca: “Il sostegno all’inchiesta che abbiamo condotto è stato bipartisan. In un contesto politico dominato dalla conflittualità, occorre dire che se si vuole arrivare alla verità non ci sono differenze di partito che tengano” , il loro messaggio.

L’appello di don Ciotti

E’ quindi giunto l’incisivo intervento di don Luigi Ciotti: “Bisogna urlare che Attilio è stato ucciso dalla mafia, come è scolpito nelle conclusioni dell’inchiesta parlamentare. Tuttavia, secondo lo Stato, è morto come un drogato. La logica mafiosa sta proprio qui, in un potere che si nasconde dietro menzogne e manipolazioni: oggi, l’80% delle vittime di mafia attende ancor di sapere la verità. Questo non è possibile in uno Stato democratico, perché l’omertà uccide la speranza di queste persone. Omertà e neutralità penetrano in profondità nei tessuti sociali, fatto allarmante quando il 50% degli elettori si astiene e non si riconosce nell’offerta politica. E’ proprio dove prolifera l’indifferenza che le mafie attecchiscono, perché normalizzare il crimine in questi contesti diventa più facile. Pure nel ricco nord-est è presente la mafia. La massoneria, poi, è trasversale alle mafie nel nostro Paese, come si è notato anche nella recente cattura di Matteo Messina Denaro. La legalità mette radici solo in zone fertili di responsabilità, che costituisce spina dorsale della democrazia”.

La proposta

“Ci è sembrato spontaneo ricordare Attilio in questa città, dove la nostra famiglia ha trascorso gli anni più belli della sua vita” ricordano commossi la madre e il fratello ai numerosi presenti, molti dei quali lo ricordano ancora oggi vivo, di una simpatia travolgente, come rammenta il consigliere Ferraro, suo amico d’infanzia.

Sarebbe una felice iniziativa dedicare alla memoria di Attilio Manca uno spazio cittadino, come un parco, oppure il piazzale dell’ospedale civile, proprio per mantenere vivo questo forte legame che si è creato tra la città di San Donà di Piave e questo suo brillante concittadino, la cui unica colpa è stata quella di rifiutarsi di curare il potente boss mafioso Bernardo Provenzano.

La giornata del 21 marzo

Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, Libera promuove la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio, Antonino Montinaro, nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Dal 1996, ogni anno, in una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Il 1° marzo 2017, con voto unanime alla Camera, è stata approvata la proposta di legge che istituisce e riconosce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.

SEGUICI
EDITORIALI
archivio notizie
04/07/2024

Un “manifesto programmatico”

Ricordo che due sposi mi dissero che a loro il nuovo vescovo è subito piaciuto...

06/06/2024

Si tratta, da parte nostra, di un importante diritto-dovere civico, perché, per molti aspetti, è in gioco...

TREVISO
il territorio