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Un convegno per ridare “nuova vita” ai beni ecclesiali

L’invito del vescovo, Michele Tomasi, all’incontro “Ripara la mia casa”, dedicato al futuro dei beni di proprie della Chiesa, svoltosi al Filippin di Pieve del Grappa. Importante mettere insieme “intelligenze e sensibilità”, ambienti accademici e protagonisti diretti, in questo cammino “ecclesiale e civico”

Aprendo il convegno, dedicato al futuro dei beni di proprietà della Chiesa, il vescovo di Treviso, Michele Tomasi ha ripreso il titolo, tratto dal comando di Dio a san Francesco tra i ruderi di San Damiano: “Ripara la mia casa”. Rivolgendosi ad Anna Manea, dottoranda dello Iuav, che con competenza ha curato il convegno, e ai docenti e operatori pastorali presenti, li ha invitati a tutelare ciò che riceviamo dal passato, i doni fatti dai fratelli e dalle sorelle che ci hanno preceduto, in particolare, a favore dei più poveri. “I tempi sono cambiati da quando sono stati messi a disposizione: occorre dare loro nuova vita”.

Il tema del disuso, del riuso o del sottoutilizzo dei beni di proprietà degli enti ecclesiastici è da esplorare. Il convegno ha offerto alcune linee di indirizzo, indicando delle strade per sostenere la riflessione di preti, comunità cristiane e religiosi. Essi sono inseriti in territori che ne costituiscono parte della storia, e che possono diventare occasione per un futuro ricco di progetti pastorali, sociali e culturali, nati da una nuova rete o, come ha detto Maria Chiara Tosi, dello Iuav di Venezia, durante il convegno, da una “rimagliatura” del territorio.

Il convegno è stato organizzato con il patrocinio della Diocesi di Treviso, della Facoltà Teologica del Triveneto, del Comune di Pieve del Grappa, del centro studi Cherubino Ghirardacci, della fondazione Lercaro, dell’Ordine degli architetti Ppc di Treviso, di Ipa Terre di Asolo e Monte Grappa e della riserva della Biosfera Monte Grappa, con il contributo di Banca delle Terre venete, e in collaborazione con gli Istituti Filippin, che lo hanno ospitato in aula De Marchi.

Durante l’incontro, sono stati presentati i primi risultati della ricerca, curata da Anna Manea, realizzata in collaborazione con 593 Studio e gli Istituti Filippin.

Sono intervenuti Luigi Bartolomei, Francesca Giani, Claudia Manenti, Maria Chiara Tosi e Tommaso Zorzi, esperti di architettura sacra, urbanistica e welfare comunitario, insieme ai protagonisti di esperienze concrete di rigenerazione.

Durante il ringraziamento finale, il Vescovo ha sottolineato quanto sia importante mettere insieme le voci degli ambienti accademici e quelle dei protagonisti diretti: sacerdoti, religiosi e collaboratori pastorali. “L’immagine presentata oggi, del bosco come luogo di relazioni, dove si mettono insieme intelligenze e sensibilità, dobbiamo tenerla a mente per continuare questo cammino ecclesiale e civico”.

Gli interventi: dal possesso alla cura, per riannodare relazioni

Nella relazione introduttiva, Claudia Manenti, direttrice del centro studi cultura sacra del cardinale Giacomo Lercaro di Bologna, ha tracciato il quadro teorico in cui collocare la riflessione sugli edifici sacri: “Da quando la terra è diventata abitabile, l’uomo ha definito i luoghi in cui alla relazione orizzontale con gli altri uomini si aggiunge quella verticale con il mistero”. Il cristianesimo, ha aggiunto, “ha sacralizzato tutti gli ambienti di vita, ma questo non significa che l’uomo non abbia bisogno di spazi di verticalità, di dialogo con il mistero”. Come la dimensione mistagogica veniva esaltata dal paleocristiano, la semplicità nell’architettura cistercense, così nel gotico la cristianità si slancia verso l’alto e, nel ‘900, la chiesa si colloca “tra le case”. Oggi, “la dimensione efficientista ci costringe a cercare nell’arte, «inutile», la forza che di nuovo ci renda profondamente umani”.

Serve aprire le chiese, per garantire spazi di silenzio e di riflessione. Serve particolare cura delle chiese che “segnano” i luoghi: ad esempio, un sacello su una collina.

Luigi Bartolomei, presidente del centro studi Cherubino Ghirardacci di Bologna, ha portato l’esempio del monastero delle suore Agostiniane di Vicopelago, villa storica a Lucca, dove soggiornò una sorella di Puccini: “Quando le suore si sono rivolte al nostro centro studi, abbiamo valorizzato gli spazi, dalla sala capitolare per la partecipazione dei cittadini, ai circuiti interni che permettevano alle monache di muoversi senza essere viste, sfruttati per la convivenza tra associazioni diverse”. La villa è stata, poi, acquisita dal Comune, per attività culturali e sociali compatibili con la sua storia, collegando passato e futuro.

Giovanni Paolo II invitò gli istituti a rovesciare la logica. Si deve passare dal possesso alla cura, e curare può essere riannodare i fili delle relazioni, come avvenuto per questo convento. Bartolomei ha evidenziato che il numero straordinario di beni religiosi è un problema, molti sono ignoti e non tutelati. Questi edifici racchiudono tradizioni e patrimonio immateriale da proteggere; parlare di bene pubblico è più corretto che di semplice bene culturale.

I beni della Chiesa, al tempo stesso, hanno un valore evangelico, e devono servire ai fini della Chiesa e al carisma degli ordini, altrimenti accumularli perde significato. Francesca Giani, della fondazione Humanitate, ha sottolineato le criticità legate alla gestione dei beni ecclesiastici. Molti religiosi hanno dedicato la vita a scuola, assistenza e preghiera, e oggi devono affrontare cambiamenti profondi del loro ruolo e missione.

I patrimoni sono ingenti, ma la mancanza di fondi rende difficile assistere religiosi anziani, costringendo alla liquidazione di conventi e scuole. L’autonomia dei religiosi rischia di trasformarsi in isolamento, e la gestione degli immobili soffre della mancanza di supporto istituzionale, un ente “terzo” rispetto alla Chiesa.

A questi problemi si aggiungono complicazioni fiscali: gli immobili in comodato d’uso a cooperative sociali pagano l’Imu a prezzo pieno e le agevolazioni energetiche non esistono. Anche i cambi di destinazione d’uso comportano oneri ingenti. “Nonostante gli ostacoli - ha concluso Giani -, la valorizzazione del patrimonio rimane centrale per rispondere al criterio indicato da papa Francesco: usare i beni della Chiesa con responsabilità e generosità, a beneficio dei più bisognosi”.

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