Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Bioagricoltura in Burkina Faso
Idriss Taraboure Zanre è presidente dell'unione delle associazioni Burkinabè (Uabt). “A Treviso abbiamo pensato 5 incontri sull’agricoltura biologica con la cooperativa sociale Topinambur, a cui partecipano sia coltivatori burkinabè che italiani”

“Un uomo che ha fame non può essere un uomo libero”. Cita Sandro Pertini, non sono certa ne sia consapevole, anche se sono sicura che ha chiaro il significato concreto di queste parole. Le ha toccate con mano, conosciute in tutta la loro drammatica verità. Idriss Taraboure Zanre è attualmente il presidente di una realtà numerosa e vivace del trevigiano, l'unione delle associazioni Burkinabè (Uabt): ne raggruppa 8, tutte attive nella nostra provincia, occupandosi di progetti di integrazione sul territorio e di cooperazione internazionale. Un volto conosciuto e stimato del volontariato a Treviso, capace di dialogare con le altre realtà, sedendo anche ai tavoli delle progettazioni e delle istituzioni, senza perdere di vista la concretezza e il desiderio di rispondere ai bisogni delle persone. Tanto che con l'Uabt guida oggi un importante progetto di innovazione agribiologica finanziato dall'organizzazione internazionale per le migrazioni in Italia.
“Per il bene di tutti è necessaria una rivoluzione in agricoltura, non solo in Africa, ma anche in Italia e nel mondo. L’uso diffuso di pesticidi e concimi chimici è la causa di gravi malattie e della sterilità dei terreni”, mi spiega Idriss Zanre quando ci incontriamo. Aveva 28 anni quando è arrivato nel nostro Paese, nel 2002, con l'obiettivo di trovare lavoro e migliorare la qualità della vita, sua e della sua famiglia rimasta in Burkina Faso. Dopo un primo periodo a Napoli, si stabilisce a Treviso nel 2004, trova lavoro, prima come operaio in una grande azienda locale, successivamente come tappezziere per un'altra importante impresa artigiana del territorio. Sposato, 3 figli, è dal 2006 che frequenta l'associazionismo; ormai lo conosce molto bene.
“Con la prima associazione che abbiamo fondato, mandavamo i soldi a casa, in Burkina Faso, per sostenere le famiglie in difficoltà - racconta -. Poi nel tempo abbiamo cominciato a occuparci anche di corsi di lingua italiana per coloro che si stabilizzavano qui a Treviso, oppure di formazione su temi diversi, per esempio sui bilanci familiari, sulla genitorialità, per donne che svolgono lavori di cura verso gli anziani”. Acquisendo consapevolezza e competenza, negli anni hanno raccolto nuove sfide, iniziando a realizzare piccoli progetti di sartoria e di agricoltura in terra d'Africa.
“Con la collaborazione del Comune di Treviso nel 2015 abbiamo realizzato un orto in Burkina Faso e uno a San Paolo dove venivano prodotte le stesse piante: ocra, carcadè, arachidi, mais, cipolle, verdure - spiega ancora Idriss -. Questa attività ci ha portato poi a costruire un mulino e diverse altre iniziative che permettevano alle donne africane di ritrovarsi, coltivare per uso familiare e anche per poter vendere i prodotti raccolti dalla terra”.
Grazie all'Oim, organizzazione internazionale per le migrazioni, che ha reso disponibili delle risorse economiche per valorizzare la diaspora con la partecipazione dei migranti alle politiche di cooperazione internazionale, sono stati finanziati nuovi progetti. Sotto la sigla A.Mi.Co. - associazioni migranti per il cosviluppo - ha preso forma anche il progetto di agricoltura biologica, dentro a una rinnovata prospettiva, in cui le organizzazioni che riuniscono migranti diventano protagoniste del cambiamento.
Del resto, l’Italia conta la presenza di oltre mille associazioni con background migratorio, alcune delle quali rappresentano la diretta espressione di specifiche comunità delle diaspore. Con il loro riconoscimento come attori di cooperazione allo sviluppo, si inseriscono a tutti gli effetti nell’ecosistema cooperazione e diventano attori chiave, in particolar modo in considerazione della rilevanza che il tema “migrazione” ha acquisito nel quadro della cooperazione internazionale nel corso degli ultimi anni. Dalla pandemia in poi, le organizzazioni migranti hanno assunto un ruolo fondamentale per rispondere, in particolare, ai bisogni delle comunità più vulnerabili.
Ora, il percorso di diffusione delle buone pratiche dell’agricoltura biologica, iniziato ancora nel 2014 con il progetto “Risorsa Terra”, proseguito poi nel 2019 con “Salvaguardia dell’ambiente, un’impresa di tutti per tutti”, premiato dall’Oim Italia, ha creato tutte le premesse perché l'Unione delle associazioni burkinabè di Treviso raccogliesse la nuova sfida. “Questo recente progetto si intitola «Innovazione agribiologica in BurkinaFaso»; ha preso il via a settembre del 2022 e si concluderà il prossimo giugno. Coinvolge i villaggi di Zabre, 80.000 abitanti, di Garango, 70.000 abitanti, e la provincia di Treviso. Cinquanta i beneficiari diretti nella costruzione di una ventina di pozzi per la produzione di concime organico, più di quattrocento gli agricoltori burkinabè che hanno partecipato alle riunioni di sensibilizzazione e di divulgazione dell’iniziativa”. Ma il biologico è tema “urgente” non solo nella Africa coltivata dai cinesi, ma anche nei nostri territori. Un settore certamente non più di nicchia e tuttavia ancora da sostenere e sviluppare per produrre alimenti con sostanze e processi naturali e avere un impatto ambientale limitato.
“A Treviso abbiamo programmato cinque incontri sulle tecniche di agricoltura biologica con la cooperativa sociale Topinambur a cui parteciperanno sia agricoltori burkinabè che italiani” racconta ancora Idriss. Pure lui è proprietario di due ettari di terreno agricolo in Burkina, sui quali la sua numerosa famiglia coltiva miglio e mais e ha toccato con mano le conseguenze della diffusione dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici importati nel suo Paese da Cina e India: “Paghiamo un prezzo altissimo sia in termini di sicurezza alimentare che di benessere e di protezione dell’ecosistema. Dobbiamo tornare alla grande riforma di Thomas Sankara, quando ogni villaggio aveva a disposizione un tecnico di agricoltura biologica. Potrebbe essere una buona idea anche per Treviso e i Comuni italiani”.
“Abbiamo imparato negli anni a costruire reti e alleanze con altre realtà del territorio, per fare insieme - spiega -. Collaboriamo da sempre con Anteas, con il Coordinamento del volontariato, con altre organizzazioni del territorio e, per questo specifico progetto, a Treviso con la cooperativa sociale Topinambur, e in Burkina Faso con l’associazione Bissakoupou e la cooperativa Nako Panga”.