Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
I Salmi, una scuola di vita al Festival biblico di Treviso


Si è conclusa, domenica 18 maggio, con un dialogo tra mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso, Massimo Donà, filosofo, Rav Alberto Avraham Sermoneta, rabbino capo della comunità ebraica di Venezia, la sesta edizione del Festival biblico a Treviso, quest’anno incentrato sul tema dei “Salmi, libro infinito”. Argomento che è stato trattato in molteplici forme, come dialogo, in musica, cinema, incontro culturale, in cinque intensi giorni in diversi luoghi della città di Treviso.
Prima di lasciare spazio ai relatori, hanno portato il loro saluto Maria Teresa De Gregorio, assessora alla Cultura del Comune di Treviso, e Raffaele Vertucci, di Fineganns, promotore dell’evento.
Il moderatore Luigi Viola ha introdotto il titolo dell’ultimo incontro: “I salmi non sono solo, come spesso si crede, dei potenti testi poetici o liturgici, sono una forma della relazione con Dio, un dialogo vivo, potente, tra l'essere umano e Dio e anche sono una scuola di vita, perché insegnano a riconoscere la fragilità come luogo dell'incontro con Dio, la giustizia come criterio dell'esistenza, il dono come senso del vivere. Racchiudono le emozioni più profonde dell'anima ebraica, la gratitudine, l'angoscia, la speranza, la fiducia e proprio in questo dialogo troviamo il cuore della relazione fra i tre concetti fondamentali che abbiamo sottolineato: vita, dono e giustizia, di cui il pane si fa metafora, emblema, non solo perché l'immagine del pane ricorre numerose volte nei Salmi, ma perché il libro stesso dei Salmi è un pane. È un pane di vita che ci accompagna ogni giorno nella gioia e nell'afflizione, proprio come accompagnò Davide nei momenti più belli e più difficili della sua vita. Allora, come ora, d'altro canto, i Salmi comunicano e raccontano i sentimenti di ogni uomo, facendosi, quindi, in questo senso libro profetico che ancora oggi parla ai nostri cuori”.
Il vescovo di Treviso, monsignor Michele Tomasi, ha sottolineato come “sia importante e prezioso, soprattutto in tempi difficili, andare insieme alla radice. Ci dice il Concilio Vaticano II, che appena appena va a scrutare il proprio mistero, la Chiesa cattolica si ricorda del legame profondo con la stirpe di Abramo, col popolo d'Israele. E allora per noi è fondamentale, perché è la nostra vita, è il respiro della nostra esistenza. È l'ulivo buono nel quale siamo innestati attraverso Gesù di Nazareth”. E ha portato due riflessioni: “La prima si innesta sulla mia esperienza di vescovo in quanto ho avuto modo, in questi quasi sei anni, di ordinare dei ministri, dei diaconi permanenti, dei diaconi e dei presbiteri. E ho avuto anche la bella avventura di ricevere di fronte a me come testimone o addirittura nelle mie mani la consacrazione religiosa di alcune giovani donne. In questi due momenti avviene un impegno, che è quello di santificare il tempo con la preghiera del Salterio, con la liturgia delle ore”. Cioè delle persone assumono come impegno quello di pregare a nome della Chiesa in momenti determinati della giornata, quindi la santificazione del tempo, facendo proprie le parole dei salmi, “presenza viva, parola viva dalla quale ti lasci catturare, che diventa il respiro”.
La liturgia delle ore, quella che è la preghiera ufficiale della Chiesa della santificazione del tempo, “chiede di fare propria quella parola di Dio che in quel momento ti viene offerta”.
Nel suo intervento, il rabbino Alberto Sermoneta, ha sottolineato come “l'uso dei salmi è un qualcosa che ci accompagna dalla nascita alla morte. Ogni ebreo ha in tasca un librettino di salmi, piccolo, perché lo accompagna nella vita, magari li conosce a memoria, magari non riesce a leggerli, ma sa dei versetti a memoria e quindi continua a ripeterli in ogni momento”.
E ha ripreso il tema del pane, oggetto delle fatiche dell'essere umano, ma anche l'oggetto della sua soddisfazione: “Quando noi facciamo la benedizione conclusiva sul pasto, ci riferiamo a colui che, con bontà, con misericordia e con grazia, dà il pane a tutti gli esseri viventi, perché è eterna la sua misericordia”. Il pane, che è il simbolo della misericordia, deve essere intinto nel sale, che è il simbolo della giustizia e soltanto dopo aver intinto nel sale si può mangiare, perché la misericordia a volte allontana l'uomo dalla strada giusta.
In chiusura, il filosofo Massimo Donà, da laico non credente, ha sottolineato che “quando noi trasformiamo, io direi, trasfiguriamo la parola e la facciamo diventare canto, lode, è chiaro che la parola sfonda i limiti che i concetti hanno nella loro staticità”. Cos'è il pane? “Nei Salmi il pane è il pane che sfama, ma gli affamati. È il pane soprattutto per gli ultimi, affamati, cioè gli ultimi, coloro che non hanno da mangiare. È un pane che viene dal cielo. È terrestre e celeste”. E ha proseguito: “Il cibo che noi mangiamo diventa poi corpo, diventa sangue, diventa carne, diventa ciò che siamo noi. Ma il pane, nell'esperienza di ognuno di noi, è ciò che rende assimilabile l'alterità del mondo. Il pane dovrebbe insegnarci che noi siamo ciò che siamo solo in quanto accogliamo l'alterità dell'altro. Il pane è ciò che ci fa conoscere, che rende conoscibile l'ignoto, l'altro, che rende parte di noi ciò che è altro da noi”.