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Il Papa: appello per la situazione nelle carceri ricordando il massacro di Manaus
Dedicata alla figura di Rachele, "donna del suo popolo, grande matriarca della sua tribù", la prima udienza generale del 2017. Ad attendere Papa Francesco in Aula Paolo VI, circa 6mila persone.

“Tante volte, nella vita, le lacrime seminano speranza”. Per aiutare a comprendere questa realtà “non facile da capire” ma vera, il Papa ha additato ai circa 6mila fedeli presenti oggi in Aula Paolo VI per la prima udienza del 2017 l’esempio di Rachele, “una figura di donna che ci parla della speranza vissuta nel pianto”, di lacrime raccolte da Dio per offrire a colei che piange per i propri figli “una speranza di vita impensata”. Al termine della catechesi, un appello per condizioni umane più degne nelle carceri, in modo da scongiurare tragedie come quelle avvenute a Manaus in Brasile.
“Davanti alla tragedia della perdita dei figli – esordisce il Papa – una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore”.
Al centro della prima udienza generale del 2017 c’è Rachele, “donna del suo popolo, grande matriarca della sua tribù”, sposa di Giacobbe e madre di Giuseppe e Beniamino, morta nel dare alla luce il suo secondogenito. Rachele “racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili”.
“Sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio, inconsolabili davanti a una morte impossibile da accettare”. Il Papa attualizza così il rifiuto di Rachele “che non vuole essere consolata”: un rifiuto pieno di quella “delicatezza” che “ci viene chiesta davanti al dolore altrui”. “Per parlare di speranza a chi è disperato – raccomanda Francesco – bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza”. “E se non posso dire parole così – aggiunge a braccio – con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio: la carezza, il gesto e niente parole”.
“Tante volte, nella nostra vita, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza”, assicura il Papa ancora fuori testo: “Proprio per il pianto della madre, c’è ancora speranza per i figli, che torneranno a vivere”. “Le lacrime hanno generato speranza”. “Questo non è facile da capire, ma è vero”, l’altra aggiunta. “Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili – ‘ma Padre, perché soffrono i bambini?’ – davvero io non so cosa rispondere”.
Parla ancora a braccio, il Papa, per tornare su un tema a lui molto caro. Citando il testo di Geremia in cui si descrive Rachele che piange i suoi figli, brano poi ripreso da Matteo e applicato alla strage degli innocenti, Francesco ricorda che tale testo “ci mette di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti”. “Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini, lo ha condiviso e ha accolto la morte”, prosegue il Papa: “La sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto”. “Non bisogna dimenticare questo”, il monito. “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato suo Figlio e Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta. Ma risposte di qua non ci sono. Soltanto guardare l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. Per questo si dice che Dio è entrato nel dolore degli uomini”.
Alla fine dell’udienza, un appello perché “gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”, in modo da scongiurare massacri come quelli avvenuti nel carcere di Manaus, in Brasile, “dove un violentissimo scontro tra bande rivali ha causato decine di morti”. “Vi invito a pregare per questi detenuti morti e vivi e anche per tutti i detenuti del mondo, perché le carceri siano per reinserire e non siano sovraffollate, siano posti di reinserimento”, l’invito a braccio, prima di recitare l’Ave Maria, “madre dei detenuti”.