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A Lisbona il papa incontra un gruppo di giovani ucraini: “Scusate se non sono riuscito a fermare la guerra”

Sono arrivati nella Igreja do Convento da Graca commossi e con le lacrime agli occhi i giovani della piccola delegazione ucraina che questa mattina ha potuto incontrare Papa Francesco nella Nunziatura apostolica di Lisbona. Ad accompagnarli, padre Roman Demush, vice capo dell’Ufficio della pastorale giovanile della Chiesa ucraina greco-cattolica.

(dall’inviata Sir a Lisbona) “Un momento di condivisione e preghiera”. “Il Papa ha ascoltato e diverse volte ci siamo messi a piangere, diverse volte ci siamo fermati perché era impossibile proseguire. Il racconto di chi è dovuto fuggire, di chi ha dovuto seppellire i familiari, di chi è terrorizzato. Abbiamo pianto, abbiamo pregato, ma ci sono stati anche momenti belli che abbiamo condiviso con il Papa”. Sono arrivati nella Igreja do Convento da Graca commossi e con le lacrime agli occhi i giovani della piccola delegazione ucraina che questa mattina ha potuto incontrare Papa Francesco nella Nunziatura apostolica di Lisbona. Ad accompagnarli è padre Roman Demush, vice capo dell’Ufficio della pastorale giovanile della Chiesa ucraina greco-cattolica. Sono saliti sull’altare della Chiesa per raccontare al resto del gruppo (sono 500 i giovani ucraini presenti alla Gmg) come è andata e cosa ha detto loro Papa Francesco. “Sono qui a Lisbona per essere testimoni della nostra patria martoriata”, racconta al Sir padre Demush. “Siamo testimoni di Cristo sofferente e siamo qui per incontrare il Cristo risorto”. I giovani che questa mattina hanno incontrato Papa Francesco vengono da diverse città dell’Ucraina, soprattutto dalle regioni orientale e meridionale dove la guerra sta diventando ogni giorno sempre più brutale. “Sono andati dal Papa per raccontare le loro storie, le storia delle loro famiglie”.

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“Il Papa si è scusato davanti ai giovani, dicendo che non può fare qualcosa di più”, racconta padre Demush. “Non può fare niente per risolvere questa situazione. Sono state parole sincere: non poter fare niente, non significa che il Papa stia fermo. Lui fa tantissimo e noi siamo molto riconoscenti. Prima di tutto della memoria e poi della preghiera, dell’aiuto umanitario della Santa Sede”. All’incontro in Nunziatura “era presente la famiglia di un sacerdote della Chiesa greco-cattolica ucraina. La signora Iryna – racconta padre Demush – ha portato i pezzi dei missili che sono caduti nella loro parrocchia, dicendo che questo è il mondo russo che distrugge le chiese, le case, le vite. Non sono solo pezzi di ferro, sono i segni di migliaia di morti ingiustamente”. Al papa i giovani hanno portato anche un pano e un sacchetto di grano. “È stata una mensa”, racconta il sacerdote, e “come segno di questo incontro, abbiamo portato a Sua Santità un pane con il grano e l’acqua del santuario di Zarvanytsia. In Ucraina si può morire, non solamente dalle bombe e dai missili russi, ma anche di fame. Abbiamo condiviso questo pane insieme con il Papa”. L’incontro si è concluso con la preghiera del Padre Nostro: “Noi in ucraino. Il Papa in italiano ma il Papa conosce la nostra lingua e ci ha saluto in ucraino dicendoci, sia lodato Gesù Cristo, e questo per noi è stato davvero un segno di vicinanza che il Santo Padre vuole esprimerci”.

È stata Iryna Bilska a consegnare a Papa Francesco un frammento di una bomba. “L’abbiamo raccolta nella città di Beryslav nella regione di Kherson vicino alla chiesa dove è caduta”, racconta. “Quando gliel’abbiamo data abbiamo rivissuto con lui tutto il dolore che questa guerra sta provocando nel nostro Paese. La nostra città è stata occupata dai russi e liberata. Abbiamo donato al Papa anche una bandiera con le firme dei nostri soldati. Il Papa ci ha regalato il rosario e ci ha assicurato che è sempre con noi e prega sempre per il nostro Paese”. Anastasiia Osadeha viene invece da Kramatorsk. “Abbiamo portato al Papa un pane tradizionale ucraino e un sacchetto di grano”, racconta. “La mia città si trova a 40 chilometri dal fronte. Ogni giorno cadono missili e bombe. Tanta gente muore per niente. Le bombe portano via tutto, anche le vite. E tutto questo sta diventando normale. Quando ho raccontato al Papa la nostra vita, ho sentito che ho potuto condividere con lui quanto stiamo vivendo”.

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