Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Ascensione del Signore: Vita benedetta da chi ci ama oltre la morte

Nella festa di questa domenica, memoria di Gesù che ascende al cielo, il brano dal Vangelo secondo Luca, da un lato, conclude un certo tipo di rapporto con Gesù e, dall’altro, apre a una relazione diversa, comunque fondata in ciò che i discepoli hanno vissuto con lui.
Da “testimoni oculari” a “ministri
della Parola”
Come accade nel tempo liturgico-rituale, la festa segna sia il compimento di un percorso precedente, sia l’apertura ai passi che seguiranno. Qui, al termine della narrazione compiuta dall’evangelista circa la vita, le opere, le parole di Gesù e il significato della sua presenza, l’autore già apre al racconto del cammino che prosegue, incarnato nelle vicende di alcuni apostoli e di alcune comunità, in obbedienza al mandato di Gesù / al mandato di Dio: “proclamare” la “conversione e la remissione dei peccati” a “tutti i popoli” (v. 47). Ciò si compirà nel tempo narrato negli Atti degli Apostoli (Atti 8,5; 5,31; ecc.). A far cerniera tra il prima e il dopo, l’evangelista colloca l’ascensione di Gesù “al cielo” e la benedizione che egli dona ai suoi.
Comprendere la nostra vita nel cammino di fedeltà di Dio con l’umanità
In tutto il capitolo 24, nel quale si racconta quanto accade nel “primo giorno della settimana” e le conseguenze che ne sono nate, chi ascolta è continuamente invitato a “ricordare le parole” dette in precedenza da Gesù e quelle delle Scritture. Le parole di Gesù e l’avvenimento della sua passione, morte e risurrezione aiutano man mano a comprendere non solo quanto è avvenuto, ma anche e soprattutto le conseguenze sul futuro dei suoi e dell’umanità. Gesù “apre la mente” dei suoi ascoltatori “all’intelligenza delle Scritture”: da “testimoni oculari” li accompagna a diventare “ministri della Parola”. Così, costoro sentiranno di collocarsi nel lungo cammino di Dio con il suo popolo, che, grazie a quanto accaduto con Gesù, si “allarga” a tutto il genere umano (v. 47).
Una presenza di benedizione
La “presenza” di Gesù tra i suoi si compie ormai, quindi, lungo le strade della vita, nell’ascolto della Parola e nello spezzare il pane. E diventa annuncio di speranza e di vita nuova per “tutti i popoli”, grazie alla testimonianza di vita dei suoi discepoli. Ma questa “trasformazione” della presenza di lui e del cuore di noi si compie grazie a una “promessa”. Una promessa che viene da lontano, fin da quella fatta ad Abramo per la terra e la discendenza (Gn 12,1-2) e che qui giunge a trasformazione: diventa il dono dello Spirito Santo, la “potenza che viene dall’alto” (Lc 24,49). Tutto questo si intreccia con un gesto che Gesù fa nell’andare al cielo: un gesto di benedizione (v. 50). Anche questo si iscrive in una tradizione ancor più lunga, testimoniata dalle Scritture: Dio che benedice Adamo ed Eva nella loro creazione (Gen 1,28), gesto di benedizione che risalta nelle tradizioni dei patriarchi (Gen 27, 27 ss.; 49,28) e che si prolunga nelle benedizioni sacerdotali (Nm 6,22-23) e in quelle pronunciate in molte occasioni di vita quotidiana. È una ritualità che ha due significati: il primo, invocare da Dio protezione e vita; il secondo, benedire Dio, ovvero ringraziarlo per i suoi doni. Entrambi sono presenti nel brano proposto: Gesù, nel “prendere distanza” dai suoi (Lc 24,51), li benedice (v. 50): è gesto che apre al dono dello Spirito Santo, che si compirà di lì a poco (v. 49; Atti 1,8; 2,1-4). Che l’evangelista presenti l’ultima immagine di Gesù come colui che benedice i suoi, è dichiarazione di grande significato: lo mette per sempre in relazione con il volto di Dio che benedice, senza mai cessare, il suo popolo e l’intera umanità (Gen 9,1). Tale benedizione, dono di vita, finalmente si compie nella benedizione di Gesù, che dona la vita di Pasqua. E questo è ben compreso dai discepoli, i quali sono a loro volta presentati come coloro che “benedicono” Dio ringraziandolo per il suo dono: Lc 24,53 usa lo stesso verbo di benedizione del v. 50, nel suo secondo significato.
Benedire, oggi
Il tempo che si apre con l’ascensione di Gesù e il dono del suo Spirito è il tempo che è il nostro: chiamati a riscoprire continuamente la benedizione che Gesù/Dio-salva ci dona, nella sua Parola, nell’Eucaristia, nei passi quotidiani e nelle relazioni che in quei passi vengono generate... chiamati a lasciarci “rivestire” da una potenza d’amore che trasforma il nostro cuore la nostra vita in testimonianza, in ministero (= servizio) a “tutti i popoli”, a iniziare da coloro che incontriamo nel cammino di ogni giorno. Quali gesti potranno diventare benedizione a “vincere il male con il bene”, a generare speranza? La creatività dello Spirito Santo ci aiuterà a testimoniare con maggior credibilità ed efficacia quel che la vita avrà fatto emergere di buono in noi e attorno a noi, e ad accompagnarlo a diventare sempre più bene comune di tutti e per tutti. Bene per cui, continuamente, a nostra volta benedire.