sabato, 31 maggio 2025
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Portatori di pace e annunciatori del Regno - XIV domenica del Tempo ordinario

Inviando i 72, Gesù li invita a pregare perché il Signore mandi operai per la messe

La missione di annunciare il Vangelo non è riservata solo a pochi eletti, ma coinvolge tutti i discepoli del Signore: il messaggio rivoluzionario portato dall’evangelista Luca è di un’attualità straordinaria e ha molto da dire alla nostra Chiesa oggi.
La messe è abbondante
Il brano evangelico ascoltato domenica scorsa aveva lasciato in sospeso la risposta di quei due personaggi che si erano presentati per seguire Gesù, o di quello che era stato invitato a seguirlo per strade alquanto impegnative. Se le dure esigenze prospettate da Gesù lasciavano pensare che ben pochi avrebbero accettato di farsi suoi discepoli, il brano odierno sembra, invece, smentire questa impressione. Il numero di coloro che hanno accolto con entusiasmo la chiamata, infatti, comprende, quanto meno, quei settantadue che egli invia “davanti a sé in ogni città e luogo dove egli stesso stava per recarsi” (Lc 10,1). Dunque, l’impegno richiesto per la sequela non scoraggia chi è pienamente motivato e affascinato da una persona o da una proposta.
Questo numeroso gruppo di discepoli è innanzitutto invitato a pregare “il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10,2). Non pregare perché ci siano frutti, quanto, piuttosto, perché non ci sono abbastanza “operai” per raccoglierli. Nella sua prospettiva, dunque, non c’è alcun dubbio che i frutti di vita nuova siano già presenti: solo che quanti sarebbero incaricati di raccoglierli non sembrano del tutto adeguati.
Seguono, poi, alcune indicazioni relative allo stile che gli inviati dovranno tenere. Sembra quasi che si presti più attenzione alle modalità della missione che non ai contenuti: forse, l’esperienza precedente dei due zelanti fratelli Giacomo e Giovanni che, nel brano di domenica scorsa, si dicevano pronti a invocare il fuoco dal cielo per annientare coloro che li avevano rifiutati (Lc 9,54), ha spinto Gesù a prendere abbondanti precauzioni.
Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò
Ci sono, però, due messaggi fondamentali che vengono affidati ai missionari. Il primo annuncio che dovranno portare con urgenza, senza perdersi lungo la strada (questo sembra essere il motivo dell’invito a non salutare nessuno lungo il cammino), è il saluto/augurio “Pace a questa casa!” (Lc 10,5). A prescindere dalla risposta di coloro a cui sarà rivolto, i missionari sono chiamati a presentarsi con questo dono di Dio. In secondo luogo, mentre accoglieranno quanto verrà loro offerto e si prenderanno cura delle sofferenze degli uomini, dovranno annunciare: “è vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10,9).
C’è qualcosa di nuovo che si sta per realizzare. Ed è questo, anche, il messaggio degli ultimi capitoli del libro di Isaia, di cui la liturgia offre oggi un bell’assaggio (Is 66,10-14). I testi dei libri profetici sanno essere anche molto duri, soprattutto quando rimproverano le incoerenze del popolo. I toni di rimprovero sono caricati dall’urgenza di suscitare un cambiamento rispetto a stili di vita che rischiano di portare alla rovina dei singoli e dell’intera comunità. Ma, quando ormai le conseguenze catastrofiche dei peccati del popolo si sono già manifestate – come nel caso del periodo post-esilico nel quale nascono questi ultimi capitoli di Isaia –, il Signore si presenta con i tratti di una madre che si lascia impietosire e torna a prendersi cura dei propri figli, anche se questi, per propria colpa, si sono procurati del male. Sembra che non debba mai mancare, da parte degli annunciatori, l’annuncio di una prospettiva di speranza e la capacità di riconoscere i segni dell’agire di Dio nella storia. Per favorire la lettura continua del Vangelo, si consiglia di leggere nei prossimi giorni anche i brani di Lc 10,13-16 e, soprattutto, Lc 10,21-24.
Essere nuova creatura
Ed è proprio quello che ha fatto il grande Apostolo delle genti. San Paolo, infatti, a conclusione della Lettera ai Galati, dopo aver espresso una forte preoccupazione per le sue comunità, che rischiavano di travisare totalmente il Vangelo, ricorda l’unica cosa che conta: essere una creatura totalmente rinnovata dall’agire di Dio. Ed è quanto è successo anche nella sua vita: egli è stato così profondamento trasformato in conformità a Gesù Cristo che porta ormai anche nel suo corpo le “stimmate”, ossia i segni della passione. Non ci si fermi tanto alla straordinarietà del segno, quanto piuttosto al suo significato profondo, che aveva così espresso in un passaggio precedente della stessa lettera: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

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